Avvenire, 4 giugno 2022
Mancano gli autisti di autobus
La carenza di autisti di autobus è un problema che si protrae da anni ormai ed ha alla base molteplici cause. Di certo all’appello mancano 15mila ’driver’ in un Paese, il nostro, dove a 60 anni la patente D (quella che abilita alla guida dei bus sopra i 9 posti) non è più valida (a differenza di altri Stati europei dove l’età è 65 anni) a meno che l’autista non voglia presentarsi annualmente in commissione medica. Una norma legislativa che contribuisce a fare abbandonare il volante a molti sessantenni – che magari non possono ancora andare in pensione costringendo così le aziende a ’riciclarli’ in ambiti non sempre consoni. Certo è che tra gli aspetti più rilevanti di questo gap di autisti ci sono anche i costi dei titoli di guida, proprio come per il trasporto merci, e le retribuzioni invariate da vent’anni. Un lavoro – che sia nel traffico cittadino, appesantito dalla monotonia di ripetere per lunghi periodi lo stesso percorso, o che sia extraurbano e pure da gran turismo – caratterizzato da automatismi quotidiani e dalla fatica di affrontare lo scarso rispetto delle regole del codice stradale degli automobilisti, a quali ormai aggiungere gli indisciplinati monopattini ed i ciclisti. Un lavoro, come dimostrato dai sempre più frequenti casi, dove l’autista deve fronteggiare provocazioni e non di rado aggressioni e che non è premiato da una busta paga adeguata. Lo stipendio lordo medio, infatti, è di circa 25mila euro l’anno, quindi 1.400 euro netti, che scendono a 1.200 per i conducenti degli scuolabus. Sono cifre, dicono gli addetti ai lavori, ferme da troppo tempo e dure da digerire se paragonate a quelle di Stati a noi vicini quali Francia, Austria e Germania dove si sfiorano i 2mila euro netti al mese. Jobbydoo, piattaforma del lavoro, mette peraltro in luce le percentuali medie di incremento di questa cifra in base all’esperienza, con una forbice che va dal 6% a metà carriera per arrivare al 25% a fine carriera. Discorso economico che incide pesantemente e che non entusiasma i giovani soprattutto considerando che non tutti possono permettersi di investire notevoli cifre nell’acquisizione della patente e della Cqc (la carta di qualificazione conducente). Da questo punto di vista va letta in modo positivo la decisione di alcune aziende di formare ’in house’ gli aspiranti conducenti che così hanno pure una quasi certezza del posto di lavoro. Comunque una strada da percorrere – e già invocata dalle parti sociali – dovrebbe essere quella delle defiscalizzazioni che permetterebbero buste paga sicuramente più alte e allineate agli altri Paesi europei. Anche in considerazione del fatto che, soprattutto nel Tpl, ci sono turnazioni a più riprese che vincolano il conducente alle dodici o più ore di impegno. Forse non è un caso che molti autisti di autobus, stando ai ’rumors’ delle aziende, sono migrati al trasporto merci dove però le problematiche sono altrettanto presenti.