il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2022
L’ultima intervista a Gianni Cavina
Quattro marzo 2022, una data che con l’occhio del poi assume significati, ritornelli e suoni chiari. Quel giorno chiamiamo Gianni Cavina, e anche lui era un bell’uomo e magari veniva dal mare. Risponde. La voce al telefono è esattamente quella di Regalo di Natale, di Cornetti alla crema, de L’ispettore Sarti e di altri e di altri, con la sua inflessione bolognese, simile a Lucio Dalla, appunto, e con un tono che perennemente galleggiava tra ironia, sarcasmo, presa in giro e dramma.
Già stava molto male, ma non ne parlava.
Anzi cercava di sorridere tra un affanno e un colpo di tosse. A un certo punto avevamo deciso di lasciar perdere, fino a quando sua moglie Giovanna ha intrapreso un percorso ostinato e contrario: è stata lei a contattarci di nascosto dal marito, “perché Gianni ci tiene a completarla”, “perché Gianni – ci ha confidato in un’altra occasione – era felice che qualcuno si occupasse di lui. Mesi prima voleva buttare il cellulare ‘tanto non mi chiama più nessuno’”. Poi all’alba del 26 marzo è morto.
È morto un bravissimo attore, un vero interprete fino all’ultimo fotogramma della sua esistenza.
Quindi, eccola qua.
La sua carriera è iniziata nel 1968.
Credo di sì; in realtà, da sempre, cancello le date, non trattengo i ricordi; comunque al cinema ci sono arrivato grazie a Pupi Avati: è stato lui a coinvolgermi all’inizio con il teatro e poi con il resto.
Quindi prima di quell’incontro non recitava…
(Sorride) Diciamo che ci provavo.
Non era il suo obiettivo nella vita.
Assolutamente! Io volevo giocare a pallone.
Ruolo?
Centravanti.
Visto il fisico, era un po’ alla Chinaglia o alla Vieri.
No, di più.
Fino a che categoria è arrivato?
Ho giocato in Sudamerica: ero andato lì per seguire mia madre e il suo secondo marito; quando sono tornato in Italia le mie convinzioni, di essere forte, si sono rivelate sbagliate: non lo ero per niente.
E dopo ha continuato con il pallone?
Diciamo di sì, ma non ero il massimo dello spettacolo.
Pupi Avati come lo ha conosciuto?
Grazie al teatro; da lì è iniziato un meccanismo di amicizia, di condivisione, di fiducia. Con lui ho recitato pure nell’ultimo film su Dante; recitare mi dà un piacere incredibile, avverto dei brividi assoluti, una gioia infinita.
Con gli anni come sono cambiati i brividi?
(Ride) Sono diventati più anziani.
Quindi?
Più lenti, più tormentati, hanno difficoltà a mettersi in moto; ma quando partono tornano quelli di sempre.
È mai stato pigro?
Molto. Molto. Molto. Anzi, moltissimo.
Cosa le ha causato?
Boh, qualche rimbrotto per i miei ritardi.
E rispetto alla carriera?
Assolutamente niente.
Cosa ne pensa della sua carriera?
Tutto il bene possibile, nonostante una serie di ferocissimi contrasti.
Soddisfatto.
Al 90 per cento; oddio, poteva accadere qualcosa di più importante, perché secondo tutti le mie doti erano abbastanza rare; (pausa) alla fine mi sono accontentato del mio ruolo e mi sono messo un po’ da parte; (silenzio, ci pensa) sono in sufficiente armonia con me stesso.
Qual è il suo ruolo?
Da pensionato felice; che poi non è vero, è una bugia, ma sono abituato a mentire.
Da sempre?
Eccome, fa parte di me.
Anche Lucio Dalla, bolognese come lei, manifestava un certo gusto per la bugia.
Lo so benissimo, era un mio amico intimo.
Com’era?
Ogni tanto veniva a mangiare a casa mia e quando aveva finito sparecchiava il tavolo e ci si sdraiava sopra solo per risolvere i problemi allo stomaco.
E voi?
Indifferenti continuavamo a parlare; era molto divertente.
Uscivate insieme?
Più che altro mantenevamo un rapporto confidenziale con le cantine; le cantine erano veramente importanti.
Perché?
Lì incontravamo tutti, e dico tutti, persone come Guccini… (silenzio).
Da Vito?
Esatto.
Guccini secondo lei.
Un ragazzo serio, poco ironico, eppure quelle serate erano un grande successo di ironia: per noi il divertimento era una droga.
Goliardia.
Spesso mettevamo in mezzo gli altri avventori.
(resta zitto, cambia il respiro, non riesce più ad andare avanti) Ci possiamo risentire nel pomeriggio? (Dopo qualche ora)
In tv spesso trasmettono un film diventato cult, “Cornetti alla crema”.
È un continuo…
Con Edwige Fenech.
Eccezionale come donna e come amica; una persona molto preparata ad affrontare quel tipo di meccanismi.
Bella donna.
Bella? Era un pezzo di… meglio che sto zitto. Da non credere, era impressionante.
Fuori dal set manteneva il suo sex appeal.
Molto di più, come nessun’altra; non mi sento di andare avanti, ci risentiamo un’altra volta?
(giorni dopo) Dove eravamo rimasti?
Cos’è il set per lei?
Un laboratorio di sogni.
Il suo sogno?
Realizzare un film con le immagini della mia vita privata, ma senza far capire che in realtà sono io; (pausa) purtroppo non mi hanno mai dato la possibilità di realizzarlo.
Da attore è stato trattato come credeva di meritare?
No, e questa domanda mi spiazza e mi dà pure un po’ di problemi; non sono un grande attore, ma uno normale, con una classica carriera composta da momenti belli e meno belli.
Tra i belli?
Sicuramente Regalo di Natale e La via degli angeli di Pupi Avati e ultimamente La grande famiglia di Riccardo Milani con Stefania Sandrelli e Alessandro Gassmann.
Tra i meno belli…
Che spesso sono stato obbligato a girare dei film che non mi piacevano.
Obbligato, da chi o cosa?
Dalla necessità economica, dall’esigenza di mangiare, di soddisfare lo stomaco e la vista.
Un film che non le è piaciuto…
Allora mi deve offrire molto tempo, la lista è veramente lunga.
La locandiera.
Beh, insomma, lì non c’è male.
Però quel film presentava un grande cast.
Di animali da palcoscenico.
C’era Paolo Villaggio.
Lasciamo perdere, un uomo molto egoista, cattivo: in quei giorni, sul set, nevicava, un freddo clamoroso, eppure non consentiva a nessuno di entrare nella sua roulotte per bere almeno un caffè.
Mentre giravate Regalo di Natale si rendeva conto di partecipare a un capolavoro?
Neanche un po’. Credevamo di girare solo un filmino delicato e a basso costo.
E con Abatantuono…
No, non è un fenomeno. Le rispondo prima che finisca la domanda.
Quindi?
Un attore sopravvalutato con molta fortuna. Meglio per lui.
E Carlo Delle Piane?
Una persona adorabile, un rompicoglioni da morire.
Non voleva contatti fisici.
Per carità! Era vietato toccarlo, anzi non potevi neanche guardare nel piatto dove mangiava. Una cosa impressionante, però con un cuore grande, grande.
Chi considera un “maestro”?
Nessuno in particolare; (ci ripensa) forse Glauco Mauri. Lui l’ho copiato tantissimo quando abbiano recitato insieme nel Macbeth.
Amava più il teatro o il cinema?
Il palco e senza alcun paragone, ma sono stato costretto a preferire il cinema e la televisione solo per motivi economici.
Perché meglio il teatro?
È più sorprendente, più inarrivabile, anche più stupido.
Stupido?
Quando ero impegnato con il Macbeth, l’attore che interpretava il Re a un certo punto ha avuto un vuoto di memoria, ma non una cosa leggera: è arrivato a dimenticare pure il titolo della tragedia, anzi non si ricordava neanche cosa stesse interpretando sul palco.
E…
Tutti noi attori ci siamo radunati davanti a lui, nascosti, per tentare di sbloccargli la memoria: l’intero gruppo intento a suggerigli le battute. Ma niente. E allora abbiamo iniziato a divertirci…
Come?
(Ride) Gli suggerivamo i nomi e le frasi sbagliate.
Lei viene molto ricordato per L’ispettore Sarti…
Mi fa molto piacere questo domanda. La ringrazio. Quello è un personaggio che mi ha donato molto. E io ho restituito molto a lui.
Ha conosciuto Loriano Macchiavelli?
Sì! Un mio amico.
Che tipo è?
Riservato, campagnolo, tranquillo e beato. Una persona con la quale è piacevole passare delle giornate.
In generale chi considera un amico?
Non sempre, ma spesso Pupi Avati.
Avete litigato?
Mai, purtroppo; (ride) in realtà lo amo da morire e lui ama me. Poi non ci sentiamo tanto, ma per non romperci i coglioni, così quando ci incontriamo siamo molto sereni.
Gli attori più bravi con i quali ha lavorato.
Bah, nessuno in particolare.
Neanche la Sandrelli?
Lasciamo perdere.
Ornella Muti?
Idem. (pausa) Guardi che posso diventare antipatico.
Qual è il suo pensiero fisso?
Tutti i giorni sogno il set, però non me lo consentono più.
Cosa le manca maggiormente del set?
L’atmosfera che si crea, il rapporto con i colleghi, le dinamiche; (pausa) venti giorni fa mi hanno proposto un film, ma ora non sono in grado. Anzi, sono un po’ stanco. (silenzio, la voce cala di tono) Ci possiamo sentire un’altra volta?