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 2022  giugno 05 Domenica calendario

Intervista a Carlo Verdone

Con i suoi film ha raccontato tanto di noi, i suoi personaggi fotografano l’umanità: nella serie Vita da Carlo su Prime Video, Carlo Verdone si è raccontato mettendo a nudo se stesso e il suo mondo. Un successo che si è aggiudicato il premio per la serie original alla cerimonia dei Nastri d’argento — Grandi serie del Sindacato dei giornalisti cinematografici a Napoli.
Verdone, di “Vita da Carlo” aveva detto: «Volevo qualcosa che non somigliasse a nessuna serie italiana». Così è stato. Sta scrivendo il seguito?
«Siamo al lavoro sulla seconda stagione, sta venendo bene. La serie è stata un’avventura nuova, eccitante e pericolosa. Ho avuto al mio fianco come regista Arnaldo Catinari, un braccio destro fantastico».
Che ha significato mettersi a nudo?
«Non ho nessun pudore. Perché mi devo vergognare di raccontare se ho qualche fragilità? Quando esco a piedi nel mio quartiere la gente mi sorride. Sono fortunato. Poi, certo, c’è anche il fatto che non appartieni più a te stesso, appartieni agli altri. Mi succedono cose incredibili: fuori dal ristorante dove avevo cenato, è passato un pullmino di turisti israeliani che avevano visto la serie.
Mi sono preso i complimenti».
Cosa ha colpito così tanto?
«L’umanità. Certe cose sono romanzate, penso alla parte dedicata ai miei figli, ma tante sono vere. Mi sono davvero messo a nudo, ho cercato di non recitare e di essere me stesso. Il lavoro i primi giorni è stato dimenticarmi di essere un attore.
Sono solo Carlo, i tempi nella risposta sono quelli che darei nella vita».
Col pubblico ha un legame forte: cosa le dato e cosa le ha tolto?
«Ho avuto tanto, mi dico: “Pensa se invece la vita non fosse stata così, non ricevere nessun apprezzamento”.
Quello che manca è un po’ appartenere a me stesso. La casa di campagna è fondamentale, sono in una solitudine completa».
Come si vede benissimo anche nella serie, è sempre disponibile: per dovere, perché è più facile dire sì?
«Deriva dal fatto che ho sempre vissuto da fan. Avere una stretta di mano, poter dire una parola a un musicista o a un regista, per me è bello. La mia casa non sembra quella di un attore ma di uno spettatore. È piena di dediche, da Fellini a David Bowie. Ero un grande fan da giovane, mi rivedo in queste persone: se mifermano per un selfie, perché non farlo? Dico sì per riconoscenza, se non avessi avuto questa benzina che è l’affetto, non sarei andato avanti».
Che momento viviamo?
«Un momento molto difficile perché non siamo felici. Abbiamo visto città perdere la propria identità per la crisi, i negozi chiudono e le nostre cattedrali sono i supermarket. Oggi per un comico raccontare i dettagli dei personaggi buffi, divertenti, mitomani, è molto complicato. C’è un’omologazione spaventosa, sono tutti uguali a tutti: capelli, tatuaggi, abitudini, vestiti. Quando ho giratoUn sacco bello ,il quartiere era importante, si parlava da finestra a finestra. Oggi non c’è più quella società, viviamo angosciati. Il Covid ci ha fatto capire che siamofragilissimi. Questo conflitto lontano — ma non lontano — ci ha fatto ripiombare in atmosfere da guerre mondiali».
Chi fotografa la situazione?
«La musica, è la colonna sonora di quello che viviamo. Ascolti la trap: dov’è il divertimento? Qualcuno inventa un tormentone ma c’è solitudine, sconforto, rabbia. Dov’è l’allegria di prima? Ragionavo con un amico che tutto passa così: “Hai capito chi ha vinto a Cannes?”. Non si capiva se la notizia del giorno fosse il processo Depp-Heard. L’obiettivo è rincoglionire un popolo con un diluvio di notizie — piccole, importanti, inutili — difficile distinguere. Non c’è etica».
Vale per tutto?
«Certo, rileggevo un’intervista diFritz Lang in cui parlava proprio di questo, s’interrogava sull’etica. Non si insegna più niente, le famiglie sono implose. All’epoca dei miei genitori ci potevano essere amanti, storie clandestine: incredibilmente non si diceva nulla ma un’amante ha salvato più di un matrimonio».
Che affermazione.
«Massì, poi ‘ste storie finivano. Fare i genitori è il mestiere più difficile.
Stare insieme a una persona è un lavoro, se metti su una famiglia c’è del lavoro da fare».
Anche per Roma c’è tanto da fare.
«Uh, tantissimo. Poi non si capisce, per un periodo il mio quartiere era pulito, ora non passa più nessuno, non c’è più l’attenzione. Perché Milano è in grande spolvero? Perché hanno una mentalità diversa, se il tram ritarda 4 minuti si innervosiscono. Da noi i bus prendono fuoco. Giravo Vita da Carloa Piazzale del Gianicolo, chiesi alla Raggi: quanto devono durare i lavori alla statua di Garibaldi? Il fulmine è caduto anni fa. Mi spiega che è un problema della Sovrintendenza. Ok va bene. La statua sta ancora là, impacchettata. È un lavoro delicato, ma possibile che tre sovrintendenze non si mettono d’accordo? Sono stufo della burocrazia, è la madre di tutti i mali. Le leggi si cambiano».
In “Gallo cedrone” Armando Feroci voleva asfaltare il Tevere, oggi che farebbe con i cinghiali?
«Partirebbe con le ronde, darebbe le armi a gruppi di quartiere. O avvelenerebbe i cinghiali. E lo applaudirebbero».
Lei che pensa?
«Sono contro la pena di morte. Io Hitler lo avrei tenuto dentro un carcere di massima sicurezza fino all’ultimo dei suoi giorni».