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 2022  giugno 05 Domenica calendario

Nel deserto del porto di Odessa

A un’ora da Odessa c’è il granaio del granaio del mondo. Quattordici silos su due fila, color argento. Rimbalzano la luce di questa tarda primavera afosa pure qui. Nastri trasportatori alti come montagne russe traversano le strade che si buttano dentro il terzo porto di Odessa, Yuzhne. Il terminal di grani più grande della fertile Ucraina si chiama Neptune, ed è cresciuto in Strada Morska 1. La corporation americana Carnill, leader mondiale della produzione alimentare, ne detiene la metà delle azioni più una: l’ha inaugurato a settembre 2019, ma dal 25 febbraio scorso — secondo giorno della guerra — il terminal è fermo. I russi salendo dalla Crimea hanno affondato un cargo noleggiato dalla stessa multinazionale e ogni attività si è bloccata. Ogni esportazione.
L’Ucraina distrutta, anche nella sua agricoltura, deve mettere in navigazione al più presto 22 milioni di grani duri e teneri, mais, semi di girasole per salvare la propria economia e la nutrizione di Paesi africani che dai cereali di questa pianura in guerra dipendono in alcuni casi totalmente. Ci sono tre settimane di tempo, ha detto aRepubblica il vicesindaco di Odessa Oleg Brindak: nei magazzini delle 1.059 fattorie del Paese, 250 sono cooperative, il grano rischia di deperire. Nei silos argentati del Terminal Neptune no, può resistere. Se non si trova un rapido accordo a Istanbul, tuttavia, quel grano non diventerà mai pane per 400 milioni di consumatori del mondo.
Il Piano turco per sfamare Egitto e Pakistan, tra gli altri, prevede che i cargo con le derrate alimentari ucraine salpino proprio da Odessa, dove sono bloccati 2,5 milioni di tonnellate. A vedere i due cani randagi che scodinzolano attorno ai vigilantes in pettorina arancio si comprende, però, che l’attività al terminal e al porto latita. Il granaio d’Ucraina può riempire 256 carrozze merci al giorno, ma sui binari non si vede un vagone. E, cosa ancora più preoccupante, nelle banchine non si vede una nave mercantile. Non si vede proprio una nave.
«Se l’8 giugno arriva l’accordo, facciamo partire il primo cargo entro tre-cinque settimane», ha detto ieri il portavoce presidenziale turco, Paese arbitro della trattativa. Il capo della logistica del terminal di Yuzhne, che riporta a terra le speranze della diplomazia di Erdogan, spiega però: «I camion dall’Ucraina rurale arrivano qui carichi, dal lunedì al sabato, ma il grano si ferma neisilos». A quanto ammontano le quantità stipate è un segreto militare.
L’ultimo missile su Odessa è caduto proprio dietro questo porto, nel primo quartiere residenziale: ha centrato nella notte il negozio di un centro commerciale che vendeva prodotti militari. È accaduto due settimane fa, non ci sono stati morti e Odessa ha continuato a vivere come se il conflitto, sulle sue spiagge,fosse solo minacciato: destinato a pochi obiettivi, mai agli uomini. Attorno al porto industriale, che pure sarebbe un target primario, i cavalli di frisia e i sacchetti di sabbia sono stati spostati a lato delle strade e i check point colorati della guardia nazionale ora sono senza controllo: si passa senza mostrare documenti. Le arterie che portano ai tanti silos di questo enorme bacino — Allseed, Risoil — sono buche alternate asmottamenti, e qui la guerra non c’entra. I pochi Tir che arrivano ai varchi anche di sabato completano con il loro carico di grano l’opera di demolizione.
Josef Schmidhuber, vicedirettore della divisione mercati e commercio della Fao, dice che serviranno tre mesi per riuscire a esportare i cereali bloccati a Odessa e nei porti di Kherson, Mariupol. Conferma, quindi, che l’esercito russo, là dove ha preso il territorio, saccheggia le strutture di stoccaggio ucraine, preleva le derrate, le invia in Russia e da lì, come fosse roba loro, le porta nel circuito dell’esportazione. Mosca è il primo produttore di cereali al mondo, Kiev il terzo e dopo l’invasione perderà quote. Dall’altra parte, i quattro grandi esportatori nel mondo — tutti americani, guidati da Carnill co. — sanno che l’accumulo di scorte fa aumentare i prezzi, i loro guadagni e le speculazioni sui futures alimentari.
Le spighe di grano, a Yuzhne, arrivano a lambire il porto, ma le mine flottanti del Mar Nero costringono a pensare a nuove, complicate strade per esportare il grano d’Ucraina. L’Unione europea guarda al porto di Costanza, in Romania, la sponda occidentale del Mar Nero: treni, camion e chiatte potrebbero trasportarvi le merci attraverso i piccoli approdi ucraini sul Danubio, Reni e Izmail. Oppure si dovrà raggiungere il Mar Baltico, ma in mezzo c’è la Bielorussia alleata di Putin. «A questo ritmo», dice la Fao, «per svuotare i magazzini ucraini serviranno due anni».