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 2022  giugno 04 Sabato calendario

Intervista a Eduardo Scarpetta

Non si è ancora stancato di rispondere alle domande sul suo nome e cognome. Anche solo per questo, Eduardo Scarpetta, ragazzo d’oro del cinema e della tv, che nell’ultimo anno ha inanellato ruoli importanti e premi all’altezza, andrebbe osservato con attenzione. Di Napoli, dove è nato nel ’93, da genitori attori, Mario e Maria Basile, che l’hanno chiamato esattamente come il celebre trisavolo, ha il piglio audace di certi ragazzi perbene che sanno come ci si comporta in una città complessa, piena di inganni e trabocchetti. Un’aria baldanzosa ma non troppo, capace di piegarsi alle esigenze delle parti, dal protagonista di Carosello Carosone a Vincenzo, fratello di Lucia in Capri Revolution, da Michele, l’amore segreto di Massimo, nella versione seriale delle Fate ignoranti di Ferzan Ozpetek, a Pasquale Peluso, il comunista integro e intransigente dell’Amica geniale Storia di chi fugge e di chi resta , ruolo per cui ha appena guadagnato il Nastro d’argento da non protagonista (« un personaggio meraviglioso: rappresenta la voce del popolo»), a meno di un mese di distanza dal David di Donatello vinto per Qui rido io di Mario Martone, nei panni del bisnonno Vincenzo Scarpetta. Insomma, è il suo momento, anche se è meglio non dirlo perché chi è cresciuto in palcoscenico come lui sa bene che il successo va e viene e non bisogna abituarsi.
Eduardo Scarpetta: un destino scritto nel nome. Come convive con questo marchio di fabbrica?
«Ho iniziato a fare teatro con mio padre a nove anni e ho capito subito che avrei fatto questo mestiere tutta la vita. Poi, certo, ho fatto i conti con il mio nome e il mio cognome. Mio nonno aveva interrotto la serie, chiamando mio padre Mario, era un modo per dire "vabbè, andiamo avanti, la dinastia è finita". Poi però mio padre mi ha chiamato Eduardo e qualcosa doveva significare».
Come hanno reagito i suoi quando ha deciso che avrebbe continuato a recitare?
«Mia madre e mia zia Maria Vittoria Scarpetta mi hanno ripetuto tante volte che questo è un mondo tosto, che non sarebbe stato tutto facile, ma ormai quel nome ce l’avevo… certo, è brutto quando te lo fanno pesare, perché non sei tu ad averlo scelto, il cognome non è una colpa, per me è la carta d’identità, la mia raccomandazione, che ci posso fare? L’unica è cercare di lavorare con la massima sincerità, umiltà e onestà».
Cosa significa per lei aver recitato in Qui rido io, che racconta la storia del suo trisavolo?
«E’ stata un’esperienza straordinaria, un viaggio enorme, da ogni progetto ci si porta via quello che si vuole, una persona, un’emozione, una sensazione…ho lavorato con Toni Servillo e con Martone, che mi aveva già diretto in Capri Revolution, e mi resterà sempre impresso il giorno in cui abbiamo girato la sequenza in cui io e Antonia Truppo recitiamo in teatro, sbagliamo, e il pubblico ci fischia a più non posso».
Quando ha ricevuto il David si è messo una mano sul cuore e ha commosso, dedicando il premio a suo padre. Cos’ha provato in quel momento?
«Mia sorella continua a rivedere quel video, non so, non ho retto, non riuscivo a credere che il premio stesse andando proprio a me, sentivo il cuore battere prepotentemente, in un modo invadente, avevo l’impressione che si vedesse, anche sotto la giacca. Non credevo che mi sarei emozionato in quel modo, pensavo fosse come alle prime teatrali, quando stai tranquillo fino al momento in cui il direttore di scena arriva e dice "chi è di scena?". Allora ti batte il cuore, d’altra parte è questo il motivo per cui si fa questo lavoro, mia madre lo diceva sempre, se non ti batte il cuore è meglio che fai un altro lavoro».
Napoli è al centro dell’ispirazione di tanti autori. Perché?
«E’ vero, ai David c’erano 40 napoletani, coinvolti in progetti campani, in diverse categorie. E’ chiaro che ci siano tanti attori straordinari, impareggiabili, di altra provenienza, ma è anche vero che noi in certe cose ci distinguiamo».
Cosa cerca in questo momento della sua carriera?
«Quando si decide per un personaggio, un progetto, un lavoro, bisogna mandare dei messaggi. Non credo che l’arte possa essere ornamentale o decorativa, io miro a scegliere cose necessarie, che trasmettano un’emozione reale. Fortunatamente non ho mai fatto né mai farò mero intrattenimento».
Come descriverebbe il personaggio della commedia di Marco Martani La donna per me (su Sky e Now) ?
«Sono l’amico disincantato, quello che mette zizzania, convinco Andrea delle ragioni dell’essere single, lo faccio riflettere sul fatto che, se uno non è completamente innamorato, se si ritrova a fare compromessi che cambiano la propria natura…bè, allora è meglio scegliere la libertà ».
Insomma, un cinico. Anche lei, nella vita vera, è così?
«Un po’ sì, sono molto schietto e forse anche cinico, nel senso di onesto, una caratteristica che crea rapporti solidi. Per quanto possa far male, sono uno che dice sempre la verità, che non è assoluta, ma è, appunto, la mia».