Tuttolibri, 4 giugno 2022
La vita di Virginia Woolf
Solo quando a questo primo volume si saranno aggiunti gli altri quattro che compongono l’intero arco dei Diari, il lettore italiano potrà dire di conoscere l’opera completa di Virginia Woolf, cioè di uno degli scrittori più celebrati e amati del Novecento. Come mai nessun editore italiano sia stato finora tentato di affrontare quest’opera straordinaria ed essenziale – secondo il nipote e biografo Quentin Bell, «uno dei diari più importanti del mondo» – rimane incomprensibile. Nei decenni scorsi, è vero, si era cominciato a tradurla (soprattutto grazie alla determinazione di Bianca Tarozzi), ma poi l’impresa era stata abbandonata, restituendo al lettore non in grado di leggere l’originale inglese un ulteriore senso di frustrazione. In tal modo, di questo enorme, formicolante corpus – a tratti scuro come la mente, altre volte luminoso come il mondo di mattina – si erano potute leggere quasi soltanto le pagine scelte nel lontano 1953 dal marito Leonard Woolf, note con il titolo Diario di una scrittrice. Ben poco rispetto all’intera raccolta: e non solo per ragioni quantitative (la selezione di Leonard rappresenta sì e no un quinto delle pagine), ma soprattutto perché si tratta di una scelta, come dice il titolo, mirata unicamente ai temi della scrittura, tagliando fuori il racconto minuzioso e costante della vita in un arco complessivo di tempo che va dal gennaio 1915 (quando Virginia compie trentatré anni) al marzo 1941 (pochi giorni prima che si uccida gettandosi nell’Ouse).
Chiaro che tutta questa grande mole di testo rappresenti in primis materia preziosa per i biografi, ma direi che non è solo o tutto qui il suo interesse: perché se è vero che uno scrittore di romanzi è innanzitutto qualcuno che indaga la propria vita – ogni romanzo non può non avere un sostrato autobiografico -, è pur vero che un diario (scritto di solito per sé stessi) non è in fondo che un romanzo in presa diretta, anzi, il romanzo della propria esistenza nel suo farsi, nel suo divenire – scrittura inclusa. Ecco perché questi Diari, affidati nella loro interezza alla traduzione di una voce sola, quella di Giovanna Granato, sono fondamentali per entrare in profondità in una delle opere letterarie più complesse del secolo scorso e allo stesso tempo nella mente dove quella creazione necessaria, dolorosa e splendida ha avuto luogo.
Questo primo volume raccoglie le pagine vergate tra il 1915 e il 1919. In realtà, le annotazioni cominciano il primo gennaio del ’15 ma si interrompono subito, sei settimane dopo, a causa di un crollo nervoso particolarmente lungo e severo. Il diario ricomincia nell’agosto del 1917, saltando a piè pari oltre un anno, e da quel momento la sua scrittura fitta, ordinata, che sulla destra tende verso l’alto, non si interrompe più, se non per qualche giorno – e ogni volta Virginia Woolf lo sottolinea, quasi sentendosene in colpa («Che vergognoso periodo di silenzio! Nessuna aggiunta alla mia disquisizione e uno sciupio di vita come un rubinetto lasciato aperto», registra sabato 15 febbraio 1919).
Ma a che punto è l’esistenza di Virginia Woolf, quando quel primo gennaio 1915 comincia l’opera che – lei non può saperlo – si rivelerà la più cospicua e pervasiva della sua non lunghissima esistenza? Due anni e mezzo prima, agosto 1912, Adeline Virginia Stephen ha sposato Leonard Woolf e ne ha assunto il cognome. La coppia vive tra la casa di campagna di Asheham e a Richmond, appena fuori Londra, ma non ancora a Hogarth House, dove si trasferisce di lì a poco e dove nascerà la Hogarth Press. Leonard ha un passato da civil servant dell’Impero, ha scritto un paio di romanzi, si avvia a una carriera di saggista e notista di politica internazionale. Virginia è la figlia di Leslie Stephen, autore del monumentale Oxford Dictionary of National Biography, sta per pubblicare il suo primo romanzo, La crociera, e ha seri problemi mentali. I due hanno pochi soldi e vivono sotto la costante minaccia delle crisi di Virginia che, poco dopo aver sposato Leonard, ha già tentato di uccidersi – tralasciando che da sei mesi l’Inghilterra è entrata nel primo conflitto mondiale. Lunedì 15 febbraio 1915 comincia così: «Niente da registrare a proposito di stamattina». Eppure quella è l’ultima nota prima della cesura, l’ultimo giorno prima che il silenzio della malattia cali sul diario appena cominciato. A poche settimane di distanza uscirà finalmente il primo romanzo di Virginia – più volte rimandato proprio per i problemi mentali dell’autrice – e lei andrà incontro alla crisi più grave della sua storia: in pratica l’ultima prima di quella definitiva che la condurrà alla morte ventisei anni dopo.
Curiosamente, né quando interrompe il diario né alla sua ripresa, nell’agosto ’17, ci sono riferimenti significativi alla malattia mentale. Oltre un anno e mezzo di vita si volatilizza, sparisce in silenzio. Eppure nel 1916 ne sono successe di cose: il caro Rupert Brooke, il poeta, è morto in guerra in Grecia. Il gruppo di Bloomsbury si è disperso nel Paese: Vanessa, la sorella di Virginia, trasferita in campagna quasi stabilmente, mentre Lytton Strachey insieme ad altri, tutti pacifisti e obiettori di coscienza, gravitano su Garsington, la tenuta di Lady Ottoline Morrell vicino a Oxford. Di quell’anno e di quegli avvenimenti, guerra inclusa, Virginia non fa parola. Quando ricomincia a scrivere, il 3 agosto, lo fa come se niente fosse accaduto. E attacca una tiritera di pranzi, cene, tè, weekend in campagna, incontri, chiacchiere, persone. C’è molta fisicità in questa parte del diario: il mondo, le cose, gli individui – tutto è come visto dall’esterno nel suo lato eminentemente corporeo. Se di solito un diario serve a chi lo tiene per mettersi in contatto con la propria vita interiore, in questa fase Virginia Woolf sembra non averne una. Anche la guerra è ridotta al suo aspetto puramente corporeo («…orribile senso di comunanza che produce la guerra, come se stessimo tutti insieme in un vagone ferroviario di terza classe», annota il 7 giugno ’18). Sempre nell’ambito della sua attenzione alla fisicità, che in questo periodo appare preponderante, ecco i primi e talvolta magnifici ritratti dei suoi amici più cari – ritratti molto aciduli, bisogna aggiungere: Keynes che «sembra mercurio su un piano inclinato – un po’ disumano ma gentilissimo, come spesso le persone disumane»; Katherine Mansfield che «puzza come uno zibetto»; il cognato Clive Bell sempre irrequieto, spumeggiante; Aldous Huxley «infinitamente alto e allampanato, un occhio bianco opaco». E ancora Thomas Eliot «un giovane americano raffinato, colto, sofisticato, parla così lentamente che ogni parola sembra meritare una speciale finitura». Oppure Lytton Strachey, le cui opere la Woolf definisce con notevole perfidia «giornalismo brillante, superbamente brillante» ma «manca di originalità e di sostanza»; infine Ottoline Morrell: «la figura affusolata e oscillante di un pioppo nero». Fra l’altro, va notato che alcuni dei personaggi appena menzionati la Woolf li conosce proprio in questo periodo.
Comincia in questo frangente anche l’avventura editoriale della Hogarth Press, di cui seguiamo nelle pagine del diario i passi iniziali con la pubblicazione del primo volumetto firmato a quattro mani dai Woolf, continuando con quel meraviglioso racconto che è Preludio della Mansfield, poi i fondamentali Poems di Eliot e via di seguito. Tuttavia, anche in questo caso, la nascita della Hogarth Press non viene raccontata dal lato del lavoro intellettuale bensì di quello manuale. Nei Diari, è tutto un interrogarsi sui caratteri da usare, sul tipo di carta, sulle varie metodologie di composizione tipografica: al contrario, dei testi si parla pochissimo e nessun accenno viene fatto alla linea editoriale o ai criteri di scelta letteraria. Del resto, anche del proprio lavoro creativo Virginia dice poco e niente. Tra il ’17 e il ’18 sta lavorando al suo secondo romanzo, Notte e giorno, ma non vi accenna quasi mai. Giusto giovedì 21 novembre 1918 annuncia di avere finito di scriverlo: e quello che sottolinea è il numero delle pagine – cinquecentotrentotto. Nient’altro. Invece indugia volentieri sulla stesura di un paio di racconti all’apparenza meno significativi ed evidentemente più brevi – La macchia sul muro e Kew Gardens che (noi sappiamo col senno di poi) marcheranno un punto di svolta fondamentale nell’opera della Woolf e nella letteratura del secolo scorso non solo di lingua inglese. Segno che la percezione di sé e del proprio lavoro di ricerca, benché non esplicitata nelle pagine di questo primo volume dei Diari, era precisamente messa a fuoco dalla scrittrice.
Nella sua monumentale biografia uscita in Inghilterra nel 1996, Hermione Lee ha fatto notare che «il Diario sarebbe sempre stato usato per ciò che lei chiamava guardare la vita, e per praticare il suo conciso stile storico». Guardare la vita e anche la propria come se fosse quella di un altro è esattamente ciò che fa la letteratura: in questo senso – mi ripeto – il diario di Virginia è il suo romanzo per eccellenza: cioè il romanzo di ciò che presiede ai suoi romanzi. Quanto allo stile storico, è indubbio che nelle pagine a seguire la scrittura è spesso più rapida, più sintetica e secca di quella usata nelle opere letterarie, tuttavia devo segnalare che, accanto alle notazioni più concise che contrappuntano i fatti quotidiani, v’è anche una specie di rumore di fondo che li accompagna sotto forma di interrogazione su ciò che significa descriverli appunto in un diario. Soprattutto nelle pagine del 1919, la Woolf si ferma di continuo a riflettere sulla scrittura diaristica: una scrittura che per lei deve «sciogliere le giunture», essere elastica: il diario «vorrei che somigliasse a uno di quei vecchi scrittoi profondi, o a quei borsoni capaci, dove ficchi un mucchio di cianfrusaglie senza andare troppo per il sottile» (20 aprile 1919). Più che pensare a uno stile da storico, dunque, direi che la Woolf – almeno in questi primi anni di esperienza diaristica – cerchi prima di tutto una specie di antidoto contro la propria insicurezza, rifacendosi di continuo a modelli letterari che possano valere come punti di riferimento attivo («È la maledizione della vita degli scrittori desiderare così tanto gli elogi, e farsi abbattere così tanto dalle critiche o dall’indifferenza», 3 novembre 1918); in secondo luogo aggiungerei che in queste pagine la scrittrice si lascia andare a una maggiore scioltezza, cioè a un minor bisogno di controllo, pur avendo sempre in mente che, se un diario è per sua natura un po’ sfilacciato, deve comunque evitare come il fuoco la sciatteria (ancora il 20 aprile 1919).
Da questo punto di vista si può applicare alle pagine a seguire un’osservazione generale di David Garnett che traggo da un suo testo del 1979, contenuto in Great Friends: «Quasi tutte le sue storie hanno un punto, un obiettivo: cogliere l’unicità della vita che fa di ciascun essere umano qualcosa di differente da ogni altro». Ecco, nei Diari, questo punctum (come avrebbe detto Roland Barthes) è la scrittura stessa che guarda la vita. Senza filtri, senza infingimenti formali o, se vogliamo, con una qual certa concisione da storico. Se la vita è quel flusso oscuro e luminoso in cui siamo immersi senza rendercene conto, il suo riflesso immediato non può che depositarsi nelle pagine del diario con lo stesso miscuglio di buio e di luce.
A mano a mano che gli anni e i decenni scorreranno, vedremo come la scrittrice metterà progressivamente a fuoco questa sua doppia visione della realtà. Vedremo per esempio come le sue opere maggiori (Mrs Dalloway, Gita al faro, Le onde) dialogheranno proprio con la quotidianità. Ma per ora limitiamoci agli anni 1915-19 materia di questo primo volume. Limitiamoci a sottolineare come già in un arco così circoscritto di tempo la Woolf passi da una prima fase (che corrisponde grosso modo ai romanzi La crociera e Notte e giorno) in cui «guarda la vita» quasi soltanto dal di fuori, attraverso la lente della realtà materiale, a una nuova visione insieme dall’esterno e dall’interno (che si annuncia nei racconti La macchia sul muro e Kew Gardens) dove la realtà comprende e assorbe anche il nostro modo di guardarla. È una vera e propria rivoluzione – fisica e letteraria – e darà luogo a una delle più stupefacenti metamorfosi della letteratura moderna.—