Tuttolibri, 4 giugno 2022
Intervista ad Atticus Lish
Per molti anni, a suo modo di vedere troppi, Atticus Lish è stato giudicato con sospetto dal mondo della letteratura: il fatto di essere il figlio di Gordon, il più importante editor americano, e il privilegio di aver frequentato sin da bambino scrittori leggendari, lo hanno messo nella condizione di dover dimostrare di possedere una propria autonomia intellettuale e non godere alcun tipo di vantaggio. Tutto ciò ha elementi paradossali: Atticus non ha mai avuto un buon rapporto con il padre, il quale, dopo aver abbandonato la madre nel momento della malattia, non lo ha mai incoraggiato a diventare uno scrittore. Tuttavia, con una notevole caparbietà e un indubbio talento, è riuscito a dimostrare il proprio valore, e In guerra per Gloria, conferma la qualità espressa nell’esordio Preparativi per la prossima vita, come anche il tono sofferto che aveva caratterizzato quel magnifico debutto. A fine giugno verrà in Italia per dialogare sul tema del Tradimento alle Conversazioni a Capri, e spiega che «da piccolo mi sono sentito tradito proprio da mio padre, che per molto tempo avevo mitizzato: si è trattato di un tradimento che si è esteso per molto tempo all’intera esistenza».
Come è riuscito a superare questa sensazione?
«Attraverso il dolore e la rabbia, ma anche con il piacere della letteratura: i libri mi hanno salvato, come mi è successo anche in questi giorni leggendo Il Conte di Montecristo: mi ha letteralmente rapito, e non so per quale ridicolo pregiudizio ritenevo che fosse semplice intrattenimento. Dumas conosce come pochi l’intimità dell’anima umana, e non ha paura dei sentimenti».
Quali sono i suoi punti di riferimento letterari?
«La lista sarebbe troppo lunga, e la limito a Omero, Shakespeare, Tolstoj e Hemingway. So che si tratta di nomi enormi e indiscutibili, ma nessuno ha avuto un maggiore impatto sulla mia crescita umana e letteraria».
Cosa rappresenta per lei la letteratura?
«Farei una distinzione su ciò che significa come lettore e come scrittore. Nel primo caso rappresenta una declinazione di cosa è in generale l’arte, che, quando è autentica, ci consente di intuire l’universale nel particolare: da questo punto di vista è un’esperienza religiosa. Ci permette infatti di comprendere cosa significhi essere un uomo seguendo un percorso diverso rispetto alla scienza. Nel secondo caso devo confessare che non mi considero uno scrittore, ma una persona che ha un sogno e cerca, da artigiano, di trovare un ordine nel rappresentarlo. Si tratta di una missione che ha due elementi: in parte da sciamano e in parte simile a quello di uno scultore che cerca la forma perfetta. È in fondo la differenza che c’è tra l’apollineo e il dionisiaco».
In occasione dell’uscita di “Preparativi per la prossima vita” il New York Times parlò della “storia d’amore più bella e meno sentimentale degli ultimi dieci anni”. In che rapporto lo vede con il nuovo romanzo?
«Considero In guerra per Gloria un prequel psicologico. Come ricorderà nel primo libro raccontavo l’esperienza americana di un’emigrante illegale di origine uigura e di un reduce della guerra in Iraq. In quel caso il protagonista maschile diceva al personaggio di Jimmy: se fai male alla donna che amo ti punirò. Invece ora il protagonista, che in questo caso è un ragazzo, lo dice al padre, vedendo in lui qualcosa di malevolo, e nella madre bisogno di protezione».
Pochi scrittori hanno come lei una laurea in matematica ad Harvard.
«Volevo distanziarmi il più possibile dal mondo di mio padre, soprattutto dopo che aveva criticato aspramente i miei primi scritti. La matematica non è la mia passione, né credo di avere alcuna attitudine scientifica: continuo a essere convinto che mi abbiano dato la laurea solo perché hanno capito che ce la mettevo tutta».
Quale il più grande insegnamento di suo padre da un punto di vista letterario?
«Quando ero ragazzo ripeteva sempre l’espressione: “sul corpo”. Intendeva che bisogna avere una relazione fisica con le proprie creazioni, e non devono mai essere astrazioni. Chi scrive deve mantenere sempre un approccio di carne e sangue».
E quale è il più grande insegnamento da un punto di vista dei rapporti umani?
«Purtroppo per me mio padre ha rappresentato un esempio negativo. Io passo ogni giorno della mia vita facendo l’opposto di quello che lui ha fatto per troppo tempo, e spero di riuscirci. C’è sempre un elemento ironico nella vita: mi ha migliorato grazie al suo modo di essere deprecabile».
Lei ha definito l’arte un’esperienza religiosa: è credente?
«Da ragazzo esaltavo la ragione e credevo che la religione fosse un’illusione, o peggio, una menzogna. Leggevo tutti i testi che nei secoli si sono scagliati contro ogni forma di religione, sia per quanto riguarda le istituzioni che il credo personale. Poi, proprio mentre scrivevo In guerra per Gloria, ho capito di essere ignorante e presuntuoso. E mi sono reso conto che siamo tutti un po’ ciechi per quanto riguarda lo spirito. Non posso dire di essere diventato credente, ma certamente sono meno scettico e ho un atteggiamento di apertura nei confronti della fede».
Lei è stato arruolato nei marine: cosa le ha insegnato quella esperienza?
«Avvenne nel 1995, subito dopo la morte di mia madre. Mi considero una persona che ha fatto un’esperienza nei marine, più che un marine. Ho imparato l’importanza da attribuire alla forma fisica del corpo: dopo quella esperienza ne sono diventato ossessionato».
È questo il motivo per cui è un professionista nel Jiujitsu?
«Lo ero prima che diventassi uno scrittore, mi interessava e tuttora mi interessa il concetto di duello, e in generale il combattimento».
Nasce da questo interesse il suo amore per Hemingway?
«Certamente, ma anche l’Iliade è piena di duelli».
Il protagonista Corey diventa sempre più arrabbiato, anche con se stesso. È impossibile non pensare a lei…
«Non posso negare che ci siano riferimenti alla mia esperienza, a cominciare dalla malattia terminale di Gloria. C’è un momento della vita, che coincide con l’inizio dell’adolescenza, in cui si comincia a realizzare che le persone muoiono. È lo stesso periodo in cui impari che esistono le malattie incurabili, e che c’è chi vuole levarti le cose più care: è il momento in cui devi trovare il tuo equilibrio, altrimenti ne sarai segnato per tutta l’esistenza. Posso rivelarti che mia madre è morta da sola in ospedale senza avermi al suo fianco: è qualcosa che non dimenticherò mai e per cui non mi perdonerò mai. Porterò il senso di colpa con me per tutta la vita».
Ha imparato qualcosa da quell’esperienza tragica?
«Era uno dei tanti periodi di enorme conflitto con mio padre: la situazione era drammatica e violenta al punto che una volta intervenne la polizia, e ora non riesco a credere che ci comportavamo così negli stessi giorni in cui mia madre stava morendo. Quello che ho imparato è che se non ti comporti in maniera giusta, finirà per pagarla sempre la donna che ti ama».
Corey decide di distruggere il mito del padre dominante e oppressivo.
«I fatti raccontati nel libro sono differenti rispetto a quelli che ci sono stati, e continuano a esserci tra me e mio padre, ma il rapporto psicologico tra genitore e figlio rispecchiano quelli che io sento dal mio punto di vista nei suoi confronti».
Suo padre cosa dice a riguardo?
«Ha ovviamente un’idea radicalmente opposta: sostiene di essersi sacrificato per la propria famiglia, e chi, come me, non lo apprezza, pecca ai suoi occhi di un’enorme ingratitudine».
Come ha reagito alla pubblicazione del romanzo?
«Non so neanche se lo abbia letto. Non abbiamo alcun rapporto da molti anni».
Nella mitologia greca Cronos, il tempo, divora i propri figli.
«Non le sembra che sia così?».
È Gea, la terra e la madre del tempo, che salva Zeus, il quale uccide suo padre: ritiene che un figlio debba farlo per sopravvivere e crescere?
«Un figlio deve essere cosciente di questa situazione, sapendo che ogni rapporto, e vale anche per quello tra me e mio padre, è segnato da sfumature diverse. Sia Gordon che il sottoscritto eravamo coscienti che soltanto uno di noi due sarebbe sopravvissuto: io ho sempre pensato che volesse divorarmi l’anima e che non accettasse in alcun modo che io cercassi di diventare autonomo».
Ha appena chiamato suo padre per nome, Gordon: non si rivolge a lui come papà?
«Lo facevo da piccolo, ora per me è solo Gordon».
Il personaggio di Gloria, nel quale è rispecchiata sua madre, è una femminista.
«Questo elemento è più vero per Gloria che per mia madre. Detto questo ho sempre pensato che uomini e donne debbano aiutarsi, partendo dalla consapevolezza delle nostre diversità e le reciproche fragilità: non si vive, né si può vivere da soli».
In passato ha dichiarato che questo romanzo può essere riassunto nel chiedersi se siamo pronti a cambiare per amore, sconfiggendo le nostre debolezze e se stessi.
«Aggiungo che ho raccontato la storia di un pulcino che tenta di uscire dall’uovo: nella lotta eterna che ognuno fa per crescere e realizzarsi, ho cercato di narrare come sia possibile evitare di farlo a spese degli altri». —