La Lettura, 4 giugno 2022
La vita di Chadia Rodriguez, tra calcio sesso e trap
A 23 anni Chadia Rodriguez ha già qualcosa da insegnare. «Perché da piccola ho fatto tanti errori – dice a “La Lettura” – e non ho avuto nessuno che me lo spiegasse...». Dunque ha imparato da sola, e in fretta.
Si parla esplicitamente di zone erogene, posizioni e orgasmi – nella trasmissione di Discovery che dall’8 giugno replica su Real Time, e nel libro appena edito da Baldini+Castoldi: Sex, Lies & Chadia. Il mio libero manuale di educazione al piacere —, ma sopra ogni cosa si rivendica un’«attitude»: un atteggiamento che fa di questa ragazzina minuta, nonostante le scarpe lilla con notevole plateau, la «trapper» di riferimento per centinaia di migliaia di coetanei (504 mila follower al momento su Instagram, un seguito su YouTube che compete con Fedez, milioni di ascolti su Spotify e via altri zeri).
Come si diventa un fenomeno di musica e costume? «È stato tutto strano», sostiene lei, come se fosse capitato per caso. A ripercorrere la storia dall’inizio, però, un filo c’è. Nata ad Almería, Spagna andalusa, nel 1998, terzogenita di una coppia marocchina, Chadia si trasferisce a tre anni in una casa popolare del quartiere Barriera di Torino. «Lo chiamavano “il ghetto”. Crescendo mi faceva anche ridere: era trap la cosa. Già appartenevo a quel mondo senza saperlo». Bambina inquieta, anzi, «triste: poi ho trovato il calcio che è stata la mia valvola di sfogo». Una coincidenza, ma anche una scelta precoce di carattere. «Gli assistenti sociali mi dicevano che dovevo fare qualcosa – racconta —, avevo un campo di calcio vicino a casa, e mi affascinavano le cose dei maschi». Soprattutto, però, «la domenica i miei genitori mi costringevano ad andare a scuola d’arabo. Ed era palloso: allora ho iniziato a giocare a calcio perché avevo la scusa delle partite...». Neanche dieci anni e già correva veloce, terzino, fascia. «Mi ha notato la Juventus femminile e sono andata a giocare lì. Un’esperienza fantastica».
Ma un tacchetto di ferro sul ginocchio sei anni dopo ferma la carriera sportiva. Cattive compagnie, compresi giovani rapinatori armati di spray al peperoncino, qualche anno in comunità. «Ma anche lì ho imparato. Mi ha salvata la lettura, i libri possono essere belli». Uno tra tutti: Io non ho paura, di Nicolò Ammaniti. Un manifesto. Diciannovenne Chadia arriva per un weekend a Milano: «E sono ancora qui da quattro anni». Fa la modella di nudo per foto d’arte, «mi ha aiutato ad avere autostima», e intanto gira la città. «Mi sembrava tutto pieno di colori, di occasioni... Il primo pensiero è stato: qua non ti giudicano, posso cominciare una vita nuova». Scrive pensieri sul cellulare, registra dei vocali sulle note. «Figlia di nessuno/ non dirmi cosa devo fare...». Li ascolta un amico, una sera, e le propone di mandarli a qualcuno che ne capisce: «Io gli dico: mollami, se poi fallisco, la gente mi prende per il culo». Ma lui le ruba il cellulare e preme invio: «Un giorno sarai niente/ ci penso quasi sempre/ nascosta mentre piango/ E soffio in aria questo fumo bianco». Il giorno dopo Big Fish e Jake La Furia, artisti e produttori che nel mondo dell’hip hop hanno un peso, la convocano in studio, pronti a registrare Fumo bianco.
Ci sono magliette bagnate, hashish, occhiali firmati e collanoni d’oro (vedi il brano Bitch 2.0), ma rapidamente emerge una vena malinconica, addirittura fragile, che con la voce roca e gli occhi lucidi la distingue dal resto del panorama trap, tanto maschile e spesso machista. Bella così è una svolta: «Piacere mi chiamo donna/ convivo col difetto e con la vergogna/... Io non avevo il seno grosso né la statura/ il corridoio della scuola era una tortura». Eppure: «Io mi piaccio così». «Sensibilità femminile? E pensare che sono sempre stata un maschiaccio...».
Lo stesso Libero manuale di educazione al piacere, che sembrerebbe provocatorio, è in realtà un assennatissimo bigino di medicina, che colma esplicitamente l’assenza di lezioni di sesso a scuola, ed è pieno di informazioni precise e consigli scientifici (grazie all’esperta Giovanna Fieni, nascosta dietro al soprannome «Lady Doc»). Al fondo, spiega Chadia, c’è «la mia piramide: consenso, rispetto, protezione». Con una capacità di mettersi a nudo non (solo) in senso letterale «per dare la possibilità anche alle altre persone di guardarsi dentro». Ride: «Do tutti consigli giusti. Poi provo a fare la stessa cosa su di me e va tutto uno schifo».
Si torna a quegli sbagli del principio: «Pur di sentirmi amata avrei fatto qualsiasi cosa. Crescendo mi sono resa conto che non era così: io mi dovevo amare e dovevo fare in modo che le persone mi amassero per quella che ero. Dobbiamo fare qualcosa per noi stessi, in primis, sempre». Tanta analisi dietro a questa saggezza? «Zero. A livello psicologico non sono mai riuscita a trovarmi bene con nessun dottore. Ho provato anche mental coach, astrologi... Sono un po’ una che deve provare le cose da sola». Compreso, da vittima, il terrificante reato del «revenge porn» (consultare il capitolo 5, sexting): una finta amica ha recuperato video intimi girati da un ex di Chadia e li ha diffusi. La cantante li ha denunciati, ha vinto, e ha anche trovato una sua maniera di esorcizzare il trauma, nell’ultimo brano: Donne che odiano le donne: «Prendo calci e pugni ma non vado giù». E per tutto questo: «Devo dire grazie solo a me».