il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2022
Il memoir di Ertl
Bergvagabunden, Vagabondi delle montagne, è un memoir alpinistico pubblicato per la prima volta in Germania nel 1937 con fitti e austeri caratteri gotici. La vecchia copia spicca accanto alla prima edizione italiana, uscita con Hoepli, nella libreria della traduttrice, Maria Antonia Sironi. Anche senza decifrare lo stile gotico, si respira attraverso le pagine, piene di bellissime foto, lo spirito delle prime avventure alpine dell’autore, Hans Ertl (1908-2000), ingiustamente ricordato soprattutto per essere stato il cameraman e l’amante di Leni Riefenstahl e il padre della giovane militante comunista che ha vendicato Che Guevara, uccidendo il suo assassino ad Amburgo, il console boliviano Quintanilla, e a sua volta fatta fuori per “vendetta della vendetta”.
Togliamoci dalla palude della politica e torniamo alla montagna pionieristica e alla giovinezza irripetibile di Ertl. L’attrezzatura era ancora di materiali naturali, la tomaia degli scarponi in cuoio, la corda in canapa che con il ghiaccio diventava ferro. Senza tempo è però il desiderio di vagabondare per vette e valli con pochi soldi in tasca ma molta voglia di libertà, avventura, cameratismo e senso di essere una infinitesima parte del tutto in luoghi dove la natura diventa estrema. Spesso ci si avvicinava alla montagna con pesanti biciclette senza rapporti e con gli sci di legno legati alla canna. Tutto molto ecologico senza volerlo essere e dunque attualissimo tracciando scie anche esistenziali e non solo tecniche.
È la stessa passione che illumina ancora gli occhi azzurro ghiaccio della traduttrice, mentre parla del libro: Sironi vive ancora nella villa di famiglia immersa nel verde dove si è innamorata dell’alpinista austriaco Kurt Diemberger, arrivato a Varese negli anni 60 per una conferenza e finito sotto casa sua a suonare con una chitarra una serenata molto in tema, l’inno dei Bergvagabunden. La traduzione è molto buona, mentre la prefazione del direttore della collana Stelle Alpine, Marco Albino Ferrari, ricostruisce in modo acuto la vita e lo sfondo storico della vita di Ertl. Sopravvissuta a un fulmine durante una scalata, compagna di follie del marito, la Sironi ricorda il passaggio, negli anni 70, a un alpinismo moderno e meno romantico che sarebbe degenerato nelle code attuali per salire sull’Himalaya, ma senza retorica né perdita del gusto di andare, partire, salire nonostante l’età.
Vagabondi delle montagne si conclude con la morte di un amico e compagno di cordata che pone fine all’innocenza. Dopo avere pensato di appendere gli scarponi al chiodo, Ertl, che da bambino si fabbricava macchine fotografiche con le scatole di sigari del padre, viene chiamato per partecipare alla spedizione in Groenlandia da cui sarà tratto un film, Sos Iceberg (1933), con la Riefenstahl ancora solo attrice e due orsi bianchi portati in gabbia dalla Germania per recitare pure loro. È la folgorazione per il cinema d’avventura.
Impermeabile alla politica, accusato di rapporti intimi con una ebrea, ma usato da Goebbels e camerati per le pellicole di propaganda, autore di documentari come Nanga Parabat (1953), Ertl si sente penalizzato dopo la guerra. Emigra in Bolivia su consiglio di De Gasperi e si getta hoerzoghianamente nell’Amazzonia. Messner gli dà l’occasione di tornare sulle Alpi nel 1981, cinquanta anni dopo l’ascesa del grande scivolo nord di ghiaccio dell’Ortles. Prima di morire, alla fine del millennio, si fa mandare terra tedesca. Avrà invidiato, in quel frangente, i compagni caduti giovani vicino al cielo e resi incorruttibili dal gelo in quella specie di ascesa/ascesi perenne che è la morte-non-morte degli alpinisti.