il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2022
Riina e la storia del suo autista
Diamo a Giustini quel che è di Giustini. Sull’individuazione di Salvatore Biondino (l’autista di Totò Riina) prima dell’arresto del boss, ha ragione il brigadiere. E hanno torto le carte ufficiali.
Il carabiniere in pensione ci ha chiesto un appuntamento appena ha letto Il Fatto del primo giugno che riportava accanto alla sua versione sulla questione Biondino anche quella diversa contenuta nella sentenza sulla mancata perquisizione del covo di Riina. Tutto inizia quando, intervistato da Report, il 23 maggio, Walter Giustini ha affermato di aver saputo dal collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero nei primi mesi del 1992 che Salvatore Biondino era l’autista del boss e che, se quella pista fosse stata seguita con maggior convinzione, si sarebbe potuto arrestare Riina non il 15 gennaio 1993, ma prima delle stragi del 1992. La Procura di Caltanissetta ha fatto un comunicato per smentire.
Per il procuratore Salvatore De Luca non c’è una dichiarazione o un’intercettazione di Lo Cicero nel procedimento palermitano del 1992 nelle quali il collaboratore parli di Biondino come autista di Riina. Ne parlò come mafioso mai come autista del boss. Così nella puntata successiva Giustini per dimostrare di aver ragione ha detto a Report di aver identificato lui Biondino, pochi giorni prima dell’arresto con Riina, quando tutti i suoi colleghi cercavano un tal Biondolillo, sulla base dell’errore fatto dal pentito Balduccio Di Maggio.
Ecco perché, quando legge sul Fatto che una sentenza del 2006 sembra smentirlo, Giustini si precipita in redazione e urla la sua versione: “Sono stato io nel gennaio 1993 a dire che l’autista di Riina si chiamava Biondino e non Biondolillo, proprio perché Lo Cicero me lo aveva indicato come autista di Riina mesi prima. Io ho dato al mio comandante Marco Minicucci la fotografia di Biondino. Minicucci la portò a Di Maggio e quello disse: ‘È iddu!’”. Il tutto, per Giustini, sarebbe successo “la sera che Di Maggio è arrivato da Novara a Palermo”, quindi l’11 gennaio 1993. Eppure i giudici nella sentenza di assoluzione del generale Mori sulla mancata perquisizione del covo di Riina scrivono: “In data 12 gennaio 1993, il Di Maggio, nel corso di uno dei sopralluoghi effettuati con il mar.llo Rosario Merenda del gruppo 2 del Nucleo Operativo, ne indicò l’abitazione in via San Lorenzo, sicché si pensò di mostrargli la fotografia di un certo Salvatore Biondino, residente in quella stessa zona e già all’attenzione delle forze dell’ordine: questa intuizione investigativa consentì l’identificazione del Biondolillo proprio nel suddetto Biondino (v. deposizione di Marco Minicucci all’ud. del 25.5.05)”.
Il brigadiere Giustini non ci sta: “Ma quale indirizzo fornito da Di Maggio? Io ho fornito a Minicucci la scheda con l’indirizzo. Se andarono con Di Maggio fuori dalla casa di Biondino, che è in via Tranchina non in via San Lorenzo, è perché conoscevano nome, foto e indirizzo grazie a me e a Lo Cicero”.
Il brigadiere tira fuori un ‘apprezzamento’ firmato il 23 giugno 1993 dal comandante regionale dell’Arma Giorgio Cancellieri per “l’attività investigativa che ha portato alla cattura del famigerato latitante Salvatore Riina” e si domanda: “Se non c’entro con l’arresto perché mi hanno dato un premio di 1 milione e mezzo di lire?”.
Ascoltando su Radio Radicale la testimonianza di Minicucci, si scopre che il brigadiere dice il vero. La sentenza sbaglia. Minicucci, attuale sottocapo di Stato maggiore dell’Arma, il 25 maggio del 2005 dice: “Di Maggio parlò di questo Biondolillo che era vicino a Riina e addirittura gli poteva fare da autista. Noi facemmo degli accertamenti e non individuammo nessuno: Di Maggio non riconobbe nessuno dei Biondolillo che gli mostrammo con foto. Venne in mente a personale da me dipendente di mostrare una fotografia di tale Biondino Salvatore che veniva fuori dalle dichiarazioni del collaboratore Lo Cicero. Lo mostrammo a Di Maggio e lui riconobbe Biondino come il suo Biondolillo”. Chi ebbe l’intuizione? Minicucci non ha dubbi: “Fu il brigadiere Giustini che disse vogliamo provare…”. Minicucci dice anche che secondo lui Di Maggio non fornì l’indirizzo di Biondino. La cronologia giusta quindi sarebbe questa: primi mesi del 1992, Lo Cicero parla a Giustini di Biondino. Secondo Giustini dice che è l’autista di Riina. Secondo la Procura di Caltanissetta solo che è un mafioso; 11 gennaio 1993, Di Maggio viene portato a Palermo dai carabinieri che cominciano a lavorare sull’autista di Riina: ‘Biondolillo’; l’11 sera Giustini consegna la foto con l’indirizzo di Biondino che viene riconosciuto da Di Maggio; 12 gennaio, sopralluogo con Di Maggio davanti a casa di Biondino; 15 gennaio mattina: il Ros avvista Biondino uscire dal covo di via Bernini insieme a Riina e li arresta.
La testimonianza di Minicucci apre un altro tema. Biondino (già segnalato dal 1992 da Lo Cicero) fu lasciato senza intercettazioni e senza pedinamenti ‘seri’ anche dopo l’identificazione del suo indirizzo. Quindi il 13, 14 e 15 gennaio nessuno lo monitorava. Perché? La questione non è secondaria. Il 15 gennaio mattina in via Tranchina, a casa Biondino, all’indirizzo individuato ma lasciato sguarnito dai Carabinieri, si teneva un summit con i mafiosi più importanti.
Riina fu arrestato proprio mentre andava lì a via Tranchina con Biondino. Mentre gli altri boss fecero in tempo a scappare. I carabinieri (che non perquisirono casa di Riina) andarono in via Tranchina solo a fare una perquisizione poche ore dopo l’arresto di Riina e Biondino. Intanto i vari Graviano, Messina Denaro, Brusca, Bagarella, Ganci ecc. si erano volatilizzati. In pratica Biondino fu arrestato perché si andò a infilare da solo con la sua Citroën nel mirino delle telecamere del Ros uscendo da via Bernini insieme a Riina.