La Stampa, 4 giugno 2022
Poveri lavoratori
Sepolto vivo sotto miliardi di parole a proposito dei giovani e il lavoro, c’è qui adesso Manuel Portellini, 28 anni, nato a Santa Maria di Catanzaro, residente a Milano, emigrato per riscattare il sogno fallito di suo padre: «Farcela al Nord». Assunto come cameriere prima della pandemia, racconta di avere avuto «il privilegio» di servire il sindaco Sala e Celentano. Da gennaio è impiegato in uno dei call center più importanti d’Italia, si chiama Covisian e annovera fra i suoi clienti Fastweb, Deutsche Bank, Compass. «Per vivere a Milano devi spingere al massimo», dice Manuel Portellini alle 9 di mattina davanti all’ingresso di via Valtorta. Ma spingere cosa? «Le tua capacità di organizzarti e tenere duro. Ci vuole mentalità, sacrificio, sai che non puoi strafare». Un esempio? «50 euro per la spesa». A settimana? «Al mese. Compro il riso a pacchi da cinque chili e la domenica ne cucino tanto. Lo metto in frigo, preparo qualche sughetto. E poi, non mi vergogno a dirlo, per la carne vado alla Lidl. Un poker di hamburger da 1,99 euro mi risolve il problema delle proteine».
Lavora dieci ore al giorno per cinque giorni a settimana, con disponibilità a chiamate straordinarie il sabato: guadagna 1.200 euro al mese. A maggio ha conseguito buoni risultati, che gli sono valsi uno spostamento d’ufficio: «Ho fatto 73 target, quando arrivare a 50 era l’obiettivo». Ora la domanda è questa: quanto costa affittare un bilocale a Milano in zona stazione Centrale? «Da 900 a 1300 euro al mese, ma sono alloggi che stanno pochissimo sul mercato» dice l’impiegata dell’agenzia «Voglio Casa Milano». E di certo, fra i vincitori della bagarre per quel tipo di bilocali non troverete Manuel Portellini.
«Quando lavoravo come cameriere, avevo fatto l’azzardo di prendere una casa con la mia ragazza a Sesto Marelli: 650 euro d’affitto. Durante il lockdown siamo finiti all’inferno. Prendevo 600 di cassa. Ogni mese partivo da -50 euro. Facevo volantinaggio e consegne a domicilio. Per sopravvivere ho consumato i 2700 euro che avevo messo da parte, tutti i miei risparmi. E quando il proprietario del ristorante sui Navigli mi ha chiamato per il nuovo lavoro dopo la pandemia e mi ha detto che mi avrebbe pagato a bimestre, cioè metà dello stipendio, ho capito che non potevo più tenere quella casa e neppure quel lavoro». Così Manuel Portellini ha scelto la sua nuova sistemazione: «Abito a Sesto San Giovanni. Siamo quattro uomini in due stanze, con due letti singoli ciascuna. Paghiamo 250 euro a testa, per un totale di 1000 euro. Con la metro ci metto 18 minuti per arrivare al lavoro, peccato solo che fino a 27 anni l’abbonamento mensile costava 27 euro e adesso è salito a 58. Milano mi piace».
Se in questo resoconto ci fosse qualche traccia di risentimento, di sicuro non è da ascrivere a Manuel Portellini. «Mi piace il mio lavoro nel call center, mi pagano puntualmente ogni 15 del mese. Il mio sogno è diventare team leader. Chissà quanto guadagna un team leader…». Nello zaino ha portato una bottiglietta d’acqua e il pranzo: pasta al pesto. «Abbiamo uno spazio comune con il forno a microonde, non mi posso lamentare. Anzi, voglio spingere di più e cercare un posto da cameriere notturno per la stagione estiva. Tanto in Calabria, la terra che amo, scenderò solo una settimana. Mi manca la mia famiglia, ma non il lavoro di giù: era tutto in nero, pagato meno che qui, non maturavi nulla».
Le storie davanti al call center si assomigliano tutte. Sono lavoratori che dormono fuori Milano. Un ragazzo sta raccontando di aver chiesto un prestito in un’agenzia di viaggio per poter fare una settimana di ferie alle Canarie alla fine di giugno. Una ragazza racconta il caso di una sua collega che dopo tre contratti a termine è stata lasciata a casa: «Poi magari ti riprendono. Perché se cambiano l’intestazione della società che ti assume, tu ritorni al punto di partenza».
Il suono di Milano, camminando, lascia nell’aria mezzi frasi sospese: «Bisogna cambiare un attimino mentalità…». «Le case che costavano 5 mila euro al metro quadro adesso sono da sceicchi…». Un hotel dei Navigli sta cercando un manutentore a tempo pieno, contratto a tempo indeterminato: 1.200 euro al mese. Per un posto da lavapiatti: 900 euro. Per uno da cameriere ai piani: 800 euro. Nel ristorante gestito da Filippo Tota, 55 anni, stanno cercando un aiuto cuoco: «In questi giorni si sono presentanti in quattro. Il problema è che si credono tutti dei fenomeni della cucina, chiedono stipendi insostenibili. I sindacati che ti impongono un mese di prova sono la rovina d’Italia. Magari al primo giorno già si capisce che le cose non funzionano, come con una donna. E allora perché devi andare avanti?».
Milano cambia sempre. Già adesso è un’altra città. La spesa che fino a marzo al mercato di viale Monza facevi con 50 euro oggi costa 70 euro. Un trilocale in via Gluck, «in una casa, fuori città», costa 450mila euro. Tutti volevano venire a cercare fortuna qui, ma nel 2021 proprio a Milano 180mila persone si sono licenziate, la metà ragazze e ragazzi con meno di 35 anni. Perché è successo? La risposta più probabile sembra questa: perché Milano non ti ripaga. Quello che ti chiede di fare è un lavoro inutile. Inutile alla tua vita. Insufficiente per ogni progetto. Un lavoro che, essendo inadeguato nel presente e uguale a se stesso, giorno dopo giorno, fin da subito si svela senza infingimenti: è un lavoro senza futuro.
Il Comune vuole realizzare degli alloggi in centro a prezzo calmierato: massimo 500 euro d’affitto. Bella idea, forse, fuori tempo massimo. L’impiegato Manuel Portellini, speranzoso di avere presto il suo primo contratto a tempo indeterminato, deve incominciare il turno al call center. Sei pentito? «No. Voglio farcela a Milano! Spingo più che posso». Qual è il tuo bilancio di maggio? «1.200 di stipendio, meno 250 d’affitto, meno 50 di spesa, meno 60 di spostamenti, meno 50 di imprevisti. Riesco anche a spedire un piccolo aiuto a mio padre malato. Sai, papà ci ha provato tanti anni fa, voleva portare la famiglia su, ma non ce l’ha fatta. Io sono qui per farcela al posto suo».
Il cancello si apre. Un ragazzo di 28 anni, quasi un uomo, si avvia verso la sua giornata di lavoro. Sembra solo, ma lui non pensa affatto di esserlo. «Ancora una cosa, scusa!», lo richiamiamo indietro. Per stare con la tua ragazza come fai? «Chiedo al mio coinquilino di lasciarmi la stanza libera per un’ora. Facciamo a turni»