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 2022  giugno 04 Sabato calendario

Intervista a Paolo Gentiloni

Si definisce un oriundo che non vuole entrare troppo nel merito delle decisioni che spettano al governo italiano, ma il messaggio che Paolo Gentiloni lancia dal Festival dell’Economia di Torino, intervistato dal direttore de “La Stampa” Massimo Giannini, è diretto: «Il tema della perdita del potere d’acquisto degli stipendi e dell’aumento delle diseguaglianze non può essere ignorato: serve il salario minimo, vanno garantiti diritti ai lavoratori delle piattaforme digitali e alzate le tasse alle grandi multinazionali che escono vincitrici dalle crisi di questi anni, prima la pandemia e poi la guerra» dice il commissario europeo agli Affari economici dal palco del teatro Carignano.
La guerra sarà lunga ed emergono le prime distanze tra Stati Uniti ed Ue nella strategia di sostegno all’Ucraina, pur nel solco dell’alleanza atlantica. Questo conflitto è destinato a cambiare gli equilibri e ad allontanare America ed Europa?
«Vedo grande sintonia sui punti decisivi di questa vicenda, anche grazie all’impegno del governo italiano. Di certo una discussione ampia è iniziata ed è destinata a proseguire sul destino dell’economia mondiale. L’Europa ha chiaro che la globalizzazione va ripensata in chiave di sicurezza energetica, difesa delle filiere, geopolitica, indipendenza nei settori strategici. Direi una globalizzazione meno ingenua, imparando la lezione di Covid e guerra, senza pensare a uno schema di “friends-shoring” in cui avere relazioni commerciali esclusivamente dentro l’Occidente. Per la nostra economia aperta e concorrenziale, è uno scenario inimmaginabile. Ma certo anche noi stiamo cambiando pelle: anni fa avremmo sanzionato un’alleanza italo-francese sui chip temendo un monopolio, oggi la incoraggiamo per garantirci indipendenza strategica».
Se il Recovery Plan è stato il momento hamiltoniano dell’Ue, ora pare di assistere a una “fase Penelope”. Orban ha tenuto in scacco l’Europa e approvare il sesto pacchetto di sanzioni è stato una fatica enorme. È ora di cambiare le regole?
«Prendere le decisioni a Bruxelles è difficilissimo ed è stato imbarazzante veder rallentare tutto perché uno dei 27 si è alzato e ha detto che non andava bene una decisione presa dalla riunione dei capi di Stato e governo. Le regole vanno cambiate, su questo Draghi e Macron sono stati chiari e mi aspetto che anche Berlino prenda in mano il tema. Ma non cerchiamo alibi, perché anche con gli strumenti a disposizione l’Europa sta facendo alla grande la sua parte: bando al carbone, progressivo embargo sul petrolio, banche russi fuori dallo Swift, iniziative contro la banca centrale di Mosca, beni congelati agli oligarchi per 12 miliardi di euro di cui quasi 2 in Italia. La Russia va verso il default tecnico e avrà un calo del Pil del 10%».
L’arma più pesante nelle mani dell’Europa nella guerra economica è la rinuncia alle forniture di gas russo. Ci arriveremo o il prezzo da pagare, 2 punti di Pil solo per l’Italia secondo Ignazio Visco, sarebbe troppo alto?
«La posizione ufficiale della Commissione Europea è che nessuna sanzione è fuori dal tavolo. Ma ad oggi di blocco del gas non stiamo parlando. Il tema è colpire la Russia, ma senza danneggiare troppo noi stessi. Perché un costo va pagato se, in modo sacrosanto, si decide di non andare alla guerra sul terreno. Ma i nostri governi hanno anche l’esigenza di tenere in considerazione il consenso e trovare un equilibrio è molto delicato».
È la contrapposizione tra pace e condizionatori accesi di cui parlava Mario Draghi nelle settimane scorse.
«La guerra ha un costo. Ma attenzione: nessuno ha mai pensato di vincerla con le sanzioni, perché Putin sarà disposto ad uscirne solo con un negoziato che gli consenta di non dover dire che è stato sconfitto. I sei pacchetti varati dalla Commissione avranno comunque un effetto devastante sull’economia e sul potere russi, la loro efficacia è fuori discussione».
In una fase di rischio di shock energetico, di inflazione e pericolo di carestia mondiale, ha senso che le risorse del Pnrr continuino ad andare a infrastrutture e digitale? Non potrebbero essere indirizzate a questi problemi che toccano la carne viva dell’Europa e delle sue diseguaglianze?
«Non metterei le due cose in contrapposizione. Riporre la transizione nel cassetto sarebbe un errore devastante, anzi ne abbiamo bisogno per renderci indipendenti dalla Russia in 4-5 anni. Il sentiero è stretto, ma è necessario trovare un equilibrio tra esigenze diverse e ugualmente importanti».
Quindi il Pnrr italiano non può cambiare?
«Qualche correzione c’è già stata e ci sarà, per far fronte all’inflazione e ai problemi di supply chain e materie prime. Ma sarebbe drammatico se il Paese primo beneficiario di quella straordinaria operazione che è il Recovery Plan non rispettasse tempi e obiettivi, come invece sta facendo grazie al lavoro del governo Draghi. È necessario dimostrare che quello schema funziona, l’Europa ne avrà ancora bisogno».
Sta dicendo che l’Italia è ancora un sorvegliato speciale?
«Per l’Italia ci sono 200 miliardi di euro tra prestiti e aiuti a fondo perduto grazie alla prima emissione di bond europei e ad un grande spirito comunitario emerso durante la pandemia: se riusciremo a far funzionare il Pnrr, determineremo un successo senza precedenti per tutta l’Europa, aprendo una stagione nuova in vista delle sfide future. Che si chiamano indipendenza energetica, difesa comune, nuova fase della globalizzazione. È una grandissima responsabilità: va bene qualche aggiustamento, ma il Pnrr va fatto funzionare, non ripensato».
Lo spread risale oltre i 200 punti base e il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco ha ammonito dai rischi di fare nuovo debito, mentre il Patto di Stabilità va verso la riforma. In che modo?
«Lo spread sta avendo oscillazioni contenute, ma di certo il debito va ridotto e anche gli aiuti alle fasce deboli penalizzate dal caro energia, che pure abbiamo sollecitato, devono essere temporanei e mirati. Il Patto di Stabilità deve cambiare perché è cambiato tutto lo scenario. E non si può pensare di procedere per deroghe. Io immagino un percorso di riforma simile al Pnrr, in cui i singoli Paesi presentino piani di riduzione del debito, di investimenti e revisione della spesa pubblica. Il documento comune tra Paesi storicamente su posizioni diverse come Spagna e Olanda va in questa direzione».
L’inflazione è a livelli record e gli stipendi italiani sono fermi da trent’anni: cosa si può fare per restituire potere d’acquisto senza innescare la spirale prezzi-salari temuta da Visco?
«L’inflazione frenerà nel 2023, ma il tema oggi è ineludibile. Tocca a parti sociali e governi affrontarlo. Anche qui il Pnrr avrà un ruolo decisivo: gli stipendi sono bassi anche per la scarsa produttività, che è destinata ad aumentare con gli investimenti previsti. Per ridurre le diseguaglianze dobbiamo parlare di futuro: digitale, transizione energetica e digitale, formazione».
Il ministro Andrea Orlando e i sindacati premono per il salario minimo. È una necessità?
«Sì. C’è una direttiva quadro della Commissione, non siamo andati oltre perché molti Paesi frenano: gli scandinavi perché lo applicano già con la contrattazione collettiva, l’Est perché teme di non reggere. E in tema di diseguaglianze è di grande importanza la direttiva per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali».
Il Fisco dovrebbe essere uno strumento di redistribuzione e Maurizio Landini, intervistato dalla Stampa, invoca più tasse per le categorie ricche e sulle rendite finanziarie. Serve un riequilibrio fiscale?
«Da oriundo non entro nel merito della discussione italiana. La Commissione aveva suggerito l’imposta sugli extraprofitti delle compagnie energetiche, che l’Italia è stata rapida ad applicare, e vogliamo arrivare alla tassa minima per evitare le fughe nei paradisi fiscali. Serve anche una tassazione straordinaria per le grandi multinazionali uscite vincitrici dalle crisi di questi anni».
Nel 2023 si voterà: quanta preoccupazione c’è in Europa per una possibile uscita di scena di Draghi? Che cosa avremo dopo?
«Draghi è una garanzia di autorevolezza e rispetto in tutto il mondo, non c’è dubbio. Il governo sta lavorando benissimo sul Pnrr, mantenendo gli impegni. Portarlo al traguardo, significa ottenere risultati capaci di costituire garanzie nuove e stabili di crescita. È l’impegno a cui i partiti resteranno vincolati anche i prossimi anni, chiunque arrivi al governo».