La Stampa, 4 giugno 2022
Domande sbagliate
Imperversa una domanda: la vittoria in tribunale di Johnny Depp contro Amber Heard, segna la fine del #metoo? Ma quello che mi domando io è se esista una risposta giusta a una domanda sbagliatissima. Il processo serviva a stabilire se Heard avesse diffamato Depp dandogli del violento, ed è diventato un giudizio universale sugli uomini e sulle donne, se gli uomini accusati siano tutti colpevoli, ovvero porci maneschi prevaricatori, e le donne accusatrici tutte vittime, ovvero succubi di una cultura brutale e bestiale. O, all’opposto, se tutti gli uomini accusati siano diffamati e se tutte le donne accusatrici siano infide bugiarde. Ha vinto Depp, e la sua assoluzione è l’assoluzione di tutti gli altri? E ha perso Heard, e la sua condanna è la condanna a tutte le altre? Il dibattito dimostra quanto sia posta male la questione, quanto pretendano una parte e l’altra, rappresentate da cortei di supporter con cartelli e cori fuori dal palazzo di giustizia, una resa dei conti spietata, e non per quello che si è fatto, ma per quello che si è e si simboleggia, per nascita, per classe sociale, per genere, per colore della pelle. Un approccio filosofico che abbiamo ben visto, qui in Europa, nel Novecento. I nemici del #metoo esultano e i sostenitori si affliggono e protestano, ma siccome la questione è seria, se fosse un dibattito serio il processo non l’avrebbe spostato di un millimetro, né con un verdetto né con l’altro. Del processo in sé a un certo punto non importava più a nessuno, importava del processo in funzione di una generale battaglia di giustizia, o più precisamente di una generale e cieca vendetta.