la Repubblica, 4 giugno 2022
Anche Zelensky non va d’accordo con tutti
La regola è che durante un’invasione non ci possono essere scontri al vertice e spaccature in pubblico. Il governo dell’Ucraina arriva al centesimo giorno di guerra con la compattezza di un clan durante una prova di sopravvivenza, con al centro il presidente Volodymyr Zelensky e attorno gli altri ministri – sempre vestiti come lui – a proiettare unità e senso di sicurezza. Se i soldati ucraini che in queste settimane resistono all’onda d’urto della Russia sul fronte del Donbass, o i governi occidentali che mandano pacchetti di armi e di aiuti per miliardi di euro, vedessero i politici ucraini litigare, il morale finirebbe sotto le scarpe. E infatti da quando i russi hanno invaso l’Ucraina la politica si è fermata: tutti i conti, è l’idea che circola, saranno saldati alla fine del conflitto.
Alcune notizie tuttavia fanno immaginare che la situazione sotto il pelo dell’acqua sia più agitata. Ci sono quelle facili da interpretare. Zelensky ha licenziato gli ambasciatori ucraini in Georgia e in Marocco perché non facevano abbastanza: «Con il dovuto rispetto, se questi paesi non manderanno armi, non imporranno sanzioni e non annunceranno restrizioni per gli affari della Russia, allora è tempo di cercarsi un altro lavoro». Ci sono quelle cheancora adesso sono un mistero, come la morte dell’influente banchiere Denis Kireev, che a marzo apparve davanti ai fotografi come membro della delegazione ucraina al tavolo del primo negoziato con i russi – anche se il suo nome non ne faceva parte. Kireev è morto poco dopo, raggiunto da colpi di pistola sui gradini di casa. Una versione sostiene che fosse un doppiogiochista russo, un’altra versione – ripetuta anche dai servizi ucraini – è che Kireev sia morto da eroe della patria. Il caso èancora in sospeso.
Il presidente Zelensky ha scontri intensi con i servizi segreti. A fine marzo ha licenziato Andriy Olehovych Naumov, capo del dipartimento sicurezza interna dell’intelligence, e anche Serhiy Oleksandrovych Kryvoruchko, capo dell’intelligence ucraina a Kherson, con accuse non meglio specificate: «Non hanno chiaro quale sia la loro patria». Pochi giorni fa ha licenziato anche Roman Dudin, capo dei servizi segreti a Kharkiv, la seconda città del paese. Non ha spiegato perché, ma ha alluso anche in questo caso a un possibile tradimento.
C’è la lotta con il rivale ed ex presidente Petro Poroshenko, che una settimana fa doveva andare a seguire una conferenza Nato in Lituania e invece è stato bloccato al confine con la Polonia: tu non puoi uscire, gli è stato detto. Tutti hanno pensato a una manovra ostile di Zelensky. Un parlamentare vicino all’ex presidente, Oleg Sinyutka, ha detto in aula che «il paese sta scivolando gradualmente verso una forma di governo dittatoriale». Un altro parlamentare vicino a Poroshenko, Volodymyr Ariev, dice che per ora non ci sarà un’indagine sul perché Zelensky non ha preso più sul serio la minaccia di un’invasione «ma in futuro non si potrà evitare». Suona come un avvertimento.
Pochi giorni fa la responsabile del settore diritti umani in Ucraina, Lyudmyla Denisova, è stata rimossa dal suo incarico con un voto del Parlamento – in tempi normali non sarebbe possibile, ma c’è la legge marziale. È accusata di non avere lavorato abbastanza per ottenere corridoi umanitari e di avere esagerato alcune notizie di stupri e quindi di avere danneggiato la credibilità ucraina. Anche lei era considerata vicina a Poroshenko.
I contrasti che contano di più sarebbero quelli dentro al governo, ma non escono. Il mandato popolare, che viene anche dai militari, è chiaro: dare un senso a tutta questa sofferenza, non svendere il Paese ai prossimi negoziati con i russi. Il capo dell’intelligence militare, Kyrylo Budanov, dice che non ci sono altri confini rispetto al 1991 (quindi: vuole indietro Crimea e Donbass). Budanov è l’ala dura, ma non esiste un’ala cedevole: nessuno direbbe in pubblico che è possibile rinunciare a unpezzo di territorio ucraino.