il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2022
La vita generosa di Gianni Vattimo
Gianni Vattimo, il filosofo del “pensiero debole”, ha 86 anni ed è seduto su una sedia a rotelle. Ormai parla con una voce bassissima, ma il suo sguardo riesce ancora a guizzare mentre interroga il vecchio cronista: “Mi conosci da anni: secondo te sono davvero caduto in basso?”. Non c’è tempo per una risposta, adesso la stanza nella sua casa all’ultimo piano di via Po, a Torino, si riempie di giornalisti e fotografi.
Una conferenza stampa prima convocata, poi disdetta e infine portata a termine in una mattina di festa, quella del 2 Giugno. Intanto, accanto al professore e attorno al tavolo rotondo del soggiorno, è ritornato anche Simone Caminada, 40 anni, che si era allontanato per stampare dei documenti.
È lui l’oggetto della conferenza e sarà lui di fatto a condurla, interpellando di tanto in tanto Vattimo per ottenere poche sillabe di conferma. Gesticola, sorride, alza la voce Caminada e spiega le sue ragioni con qualche sarcasmo a volte sgradevole: “Con Gianni viviamo assieme da anni, siamo padre e figlio, amici, fratelli, compagni. È una cosa bellissima, io dico sempre che non ho manipolato Vattimo, come sostiene chi mi accusa, ma è lui che ha manipolato me”.
Dal 2019, è al centro di un processo nel quale è accusato di circonvenzione di incapace nei confronti del filosofo. Una storia che da tre anni angoscia Vattimo e “ha fatto finire sui giornali” (summa iniuria, per la riservatezza subalpina) l’intellettuale che aveva cominciato negli anni 50 come dirigente dell’Azione Cattolica, con Furio Colombo e Umberto Eco, per salire poi nell’Olimpo filosofico del Novecento. Senza mai negare di essere gay, senza mai nascondere i suoi amori: persino nella Torino bigotta degli anni 70, dove il “Fuori!” di Angelo Pezzana cominciava a spezzare i tabù del- l’omosessualità.
Una vita ricca di cultura, ma anche di denaro (gli stipendi di professore e poi anche di europarlamentare, i diritti d’autore, i compensi per convegni e seminari): “Eravamo sopra i 20 mila euro al mese – spiega Caminada – Oggi, con la pensione, siamo scesi a 9 mila”. E anche di una grande generosità, esorbitante, elargita ai compagni e agli amici della sua esistenza: una sorta di “grande famiglia” che ha messo assieme due fidanzati morti prematuramente, qualche altro breve amore, lontani parenti, collaboratori parlamentari, persino una moglie “di convenienza” sposata qualche anno fa e oggi legalmente divorziata, ma alla quale il filosofo aveva affidato un compito preciso: “Quando avrò lasciato il mio corpo, continuerai tu ad aiutare tutti con i miei soldi”. Uno degli ultimi innamorati del professore ha raccontato, in un’aula di giustizia, di aver ricevuto da lui “quasi 700 mila euro”. Così, però, voleva vivere il professor Gianni Vattimo: gay, credente che va ancora a messa, comunista. E nessuno aveva mai preteso di fermarlo.
Sino al 2019, quando un gruppo di quegli “amici” del professore, compresi alcuni che non gli avevano mai chiesto nulla, lanciarono l’allarme. L’obiettivo era proprio Caminada, il nuovo “ragazzo”, che aveva cominciato a escludere tutti dalla sua vita e a fare le pulci per quelle riserve che si stavano assottigliando (questa è la sua difesa, un po’ frettolosa però: “Volevo difenderlo da chi lo stava spennando”). Dall’altra, ecco i racconti capaci di sostenere la “circonvenzione”, assieme ai numeri delle “spartizioni”, nel testamento ricercato un po’ da tutti una volta in cui Vattimo finì in ospedale, tra accusato e accusatori, della casa di via Po e persino del premio dell’assicurazione sulla vita. Spartizioni via via sempre più sbilanciate a favore di Caminada.
Per il filosofo arrivò anche l’amministratore di sostegno, che cominciò a controllare le spese. Nel novembre scorso, la Corte d’Appello ha revocato quella decisione, giudicando il filosofo “prodigo, ma in ogni caso capace di disporre dei propri interessi e di amministrare altresì il denaro e i beni, e di determinarsi autonomamente in merito al luogo in cui vivere e alle modalità di gestione del quotidiano”. Due giorni fa, la Cassazione ha confermato le parole dei giudici torinesi.
Tra un po’, toccherà a un loro collega penale decidere sulla colpevolezza o meno di Caminada. Inguaiato anche da alcune brutte intercettazioni telefoniche con la madre, ma adesso forte di una consulenza di parte che sosterrebbe come la sua gestione del patrimonio del professore fosse addirittura “risparmiosa” e soprattutto di quella decisione della Suprema Corte che, almeno civilmente, certifica che Vattimo sa ancora ragionare e può fare ciò che vuole dei suoi soldi.
Qualcosa che nella sua testa, forse, il filosofo continua a perseguire come un gesto di libertà: al di là delle bramosie di tutti i componenti della sua “grande famiglia”. E che lo fa star male, sino a domandare a un vecchio cronista se tutto questo possa far dire di lui che “è caduto in basso”.