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 2022  giugno 02 Giovedì calendario

Ucraina-Scozia, cronaca della partita nel Donbass

POKROVSK (DONBASS) – La tv rimane accesa per tutti i novanta minuti, e in Donbass, dove accade che vada via la corrente per giorni interi perché le centrali elettriche esplodono, non è scontato. La voce entusiasta del telecronista ucraino prova a portare un’ora e mezzo di normalità in questo ostello di Pokrovsk, che si trova a distanza di sicurezza dalla linea del fronte più caldo dell’Ucraina. Ma tra Lugansk e Donetsk la normalità non esiste, neanche nelle retrovie. E i soldati qui acquartieratI, la partita decisiva per la loro nazionale non l’hanno potuta vedere. Sono stati chiamati dal comandante. Un attacco in qualche punto del fronte che devono presidiare, o un’emergenza alla base: la telefonata non era chiara e loro non erano in vena di spiegazioni. Al gol di Yarmolenko, al 33 esimo, nella stanza non c’è già più nessuno a festeggiare.
Doveva essere una serata di cannonieri e invece è stata la solita notte di cannoni. Malinovkij e Yarmolenko non assomigliano per niente agli obici di fabbricazione inglese che in Donbass possono fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta, tuttavia tra i militari c’era comunque la voglia di riportare per un attimo il tempo a prima del 24 febbraio, quando tutto era più leggero e un gol sbagliato pareva un dramma.
Il soldato Vadym, 32 anni, è appena tornato da Avdiivka, una cittadella a nord di Donetsk, e ha detto che lì il martellamento dei missili russi è diventato insostenibile. «Perdiamo uomini, siamo costretti a seppellirli direttamente al fronte e segnare il punto con una croce, perché non riusciamo a portarli via. Però oggi abbiamo distrutto due tank nemici…». Le notizie che arrivano da Severodonestk sono, se possibile, anche peggiori. La città dell’oblast di Lugansk è praticamente in mano russa, il governatore ammette per la prima volta una «ritirata strategica» oltre il fiume Siversky Donets. «Non sono un appassionato di calcio, però se stasera vinciamo sono contento… Magari riesco pure a vedere la mia nazionale ai mondiali», dice Vadym prima del fischio di inizio.
Il televisore è collegato con un computer, perché l’ostello non ha il canale a pagamento che trasmette la semifinale dei playoff. È Sergij, un volontario di 38 anni di Kharkiv venuto in Donbass a dare una mano, ad aver avuto l’idea giusta e i cavi per realizzarla. Fuori diluvia, i tuoni non consentono di capire se tra quei boati ce ne è anche uno che non è causato dal maltempo. Ivan è seduto su una sedia accanto al vecchio divano, indossa la mimetica e un paio di ciabatte. «La Scozia è più forte, ma noi siamo più uniti, immagino che la nostra squadra viva la partita con un sentimento particolare». Su tavolo c’è una bottiglia di whisky scadente, che rimane chiusa.
Uomini in divisa con il fucile di precisione a tracolla si fermano davanti allo schermo dove compare anche il qr code da fotografare per mandare soldi all’esercito di Kiev. Guardano senza vedere. Hanno la testa altrove, ed è comprensibile. La telecamera dello stadio inquadra i tifosi vestiti di giallo e di blu che all’Hampden Park di Glasgow alzano striscioni con la scritta “SlavaUkraini”, e Ivan, un fante con gli occhi stanchi e le mani che stringono come morse, accenna un sorriso amaro. Fa piacere, quella scritta. Ma chi la alza è lontano e al sicuro, qui si rischia la pelle.
L’interesse già scarso per il pallone si esaurisce definitivamente con la telefonata del comandante. Dal piano di sopra scendono uomini sfiniti e con lo sguardo serio. In un minuto sono tutti fuori e pronti. Vadym lancia un’ultima occhiata allo schermo. È diventato scontroso. «Non è tempo per il calcio, in Donbass. Anzi, non ce ne frega proprio niente». L’Ucraina ha vinto 3 a 1. Nella notte si sentono tuoni che non sono tuoni.