La Stampa, 2 giugno 2022
Intervista ad Allegra Gucci
Per ventisette anni ha desiderato «l’oblio». Ha sempre creduto nell’innocenza della madre. Ha vissuto nel silenzio e nella riservatezza che nascere in una famiglia potente e ricca come la sua le imponeva.
Ma ora che è una donna, una mamma, discendente di una delle case di moda più famose del mondo, dopo aver vissuto la perdita del papà Maurizio, il dramma della condanna della madre Patrizia, mandante dell’omicidio, «raggirata» allora come oggi «da amicizie sbagliate, oscure», Allegra Gucci ha deciso di raccontare la sua verità. Di provare a far «pace» con quel passato che – ha capito – sarà sempre il suo presente: «In tutti questi anni ho portato sulle mie spalle quello che è successo, che la gente ha detto, ma non voglio che tante menzogne e falsità ricadano sulle spalle dei miei bambini». Soprattutto dopo il colossal House of Gucci, «che ancora una volta ha travisato la realtà», Allegra ha scritto un libro edito da Piemme, una lunga lettera al padre. Si intitola Fine dei giochi «per dire che ora è finita: se la verità deve venire fuori la racconto io».
Il suo nome, Allegra Gucci, per lei è stato più un privilegio o una condanna?
«Per i ventisette anni che ho passato non mi ha aiutata: il mio cognome mi ha portato molti più dolori. Ciò non vuol dire che non ne sia fiera, ma è stato pesante e lo è tutt’oggi».
Che ricordo ha della sua infanzia?
«È stata serena, ho bellissimi ricordi. Anche se i miei genitori si sono separati quando avevo quattro anni, per cui l’immagine della mia famiglia felice è sbiadita».
Ha vissuto male la loro separazione?
«Come tutti i bambini, sognavo che tornassero insieme, da piccola disegnavo la famiglia lontana che poi si riuniva».
Quella tra i suoi genitori viene descritta come una storia d’amore bellissima.
«Prima che accadesse tutto, sono certa che il loro sia stato un amore vero, passionale, travolgente, che però è finito».
Che madre era Patrizia Reggiani?
«La adoravo, lei c’era. Ha sempre avuto un carattere particolare e una scala di priorità diversa. Non era la madre più attenta del mondo, ma mi dava l’amore che a me bastava».
Che ricordo ha di suo padre?
«Ricordi bellissimi, io ero il maschiaccio di casa: quando ci vedevamo giocavamo a calcio, mi regalava le motorette elettriche per andare in giro sui prati di Sankt Moritz».
Prima della sua morte vi siete concessi un weekend a Parigi.
«Ero orgogliosissima di averlo tutto per me. Mi sembrava strano vederlo camminare a piedi nudi in hotel, non lo avevo mai visto così».
Poi è arrivato il 27 marzo 1995, il giorno dell’omicidio. Come lo ha saputo?
«Ero in camera mia. È venuta mia madre a dirimi che il papà aveva avuto un incidente, che era morto».
Cosa ha provato?
«Mi sentivo in una bolla, non riuscivo a capire. Affacciata alla finestra vedevo piazza San Babila, la gente, i taxi, il mondo che si muoveva alla velocità di Milano. Il mio invece si era fermato».
Come ha visto sua madre in quel momento?
«Era persa».
Sua sorella maggiore, Alessandra, quel giorno ha vissuto anche un’altra sofferenza.
«Mia nonna è andata a prenderla dal liceo e in auto l’ha portata in via Palestro, dove mio padre era stato ammazzato, nell’epicentro del nostro dolore, dandola in pasto a giornalisti e curiosi. Una cosa terribile, che ancora non riesco a capire».
Non è stata una nonna affettuosa?
«Per tutta la sua vita ha provato a manipolarci, ad approfittarsi di noi solo per il denaro».
Non è stata l’unica.
«L’ultima compagna di mio padre, Paola Franchi, dal giorno dell’omicidio ci ha fatto la guerra per ottenere i suoi soldi. Fuori e dentro i tribunali».
Quando hanno arrestato sua madre, cosa ha provato?
«Io e mia sorella abbiamo sempre creduto nella sua innocenza, mi sono anche iscritta a giurisprudenza per capire come funziona la giustizia e aiutarla a portare a galla la verità».
Come sono stati i suoi diciotto anni di carcere?
«Un inferno. Ci siamo annullate per starle accanto. Ogni settimana da Sainkt Morritz a San Vittore. Tutto ruotava attorno a lei».
Come ricorda il carcere?
«All’inizio c’era un grande tavolone di marmo a dividerci, non potevamo neanche abbracciarla. La mia sofferenza la rivedevo negli altri parenti che facevano le visite, queste mamme con i pacchi che andavano dai figli, condannate per anni alla loro stessa pena».
Sua madre si è sempre detta innocente?
«Diceva di aver desiderato fortemente la morte di papà, ma non di aver ordinato l’omicidio»
Poi una mezza confessione è arrivata in un’intervista in tv.
«Mi è mancato il terreno sotto i piedi. È stato uno Tsunami»
Come le ha spiegato quella confessione?
«Mi ha detto “ma non capisci che l’ho fatto per voi”. Cosa, non lo so. Ma ha attribuito a noi le sue responsabilità, dopo averci condannate con lei a diciotto anni di carcere».
Ma oggi pensa che sia stata lei a uccidere suo padre?
«Questo non è importante. Ora voglio solo pensare ai miei figli, lasciare loro una scia di luce».
Così vi siete allontanate.
«I maligni hanno detto che lo abbiamo fatto per denaro. Noi volevamo solo proteggerci dall’oscurità che ancora una volta la avvolgeva».
Parla della ex compagna di cella, Loredana Canò, ora accusata con vari professionisti di circonvenzione d’incapace dalla procura.
«A noi non piaceva, era stata in carcere per tentato omicidio, abbiamo detto a nostra madre di scegliere tra lei e noi. Ancora una volta ha sbagliato».
Prima di essere allontanata dai giudici, Canò è riuscita a farle firmare una polizza sulla vita da 6,6 milioni di euro. Avete temuto che potesse farle del male?
«È l’unico motivo per cui ci siamo rivolte alla procura».
All’epoca dell’omicidio era Pina Auriemma, oggi Loredana Canò. Perché sua madre si circonda di queste donne?
«Lei è una falena al contrario, attratta dall’oscurità. A dispetto di quello che ostenta è fragile e insicura. Dopo l’intervento per il tumore al cervello, nel 1992, non si è mai ripresa davvero».
Come sono i vostri rapporti oggi?
«Stiamo provando a ricostruirli. Giorno per giorno». —