La Stampa, 2 giugno 2022
Alla procura di Torino porte chiuse ai giornalisti
Porte chiuse. «Qui i giornalisti non possono più entrare». Telefoni spenti. «Non chiamate più il mio numero, se fanno i tabulati scoprono che ci siamo sentiti».
La libertà di informazione, quella che non si accontenta dei comunicati stampa, che mantiene sempre un cauto distacco dalle fonti, è in serio pericolo dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 188 del 2021 sulla presunzione di innocenza. Le fake news rischiano di prendere il sopravvento.
A fare notizia, qui, non è il lamento dei giornalisti, bensì lo stupore degli stessi magistrati che si incrociano nelle aule di giustizia, increduli di fronte al tepore verso la «censura legalizzata» introdotta dal decreto. Nel recepire la direttiva europea in materia di presunzione di innocenza, la norma ha affidato ai capi delle procure il compito-potere di stabilire che cosa va divulgato all’opinione pubblica. Tutti gli uffici giudiziari hanno dato disposizioni ai magistrati e alle forze dell’ordine su come gestire i rapporti con gli organi di informazione, fissando le regole di ingaggio per comunicare una notizia. Da divulgare, dice il decreto, «solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono specifiche ragioni di interesse pubblico». Come? Con comunicati stampa o con conferenza stampa.
Così, una sola persona, il procuratore capo del luogo, al di là del potere che gli è proprio in ambito penale, assume allo stesso tempo la facoltà di condizionare indirettamente sulla base «della sua sensibilità culturale», come osserva il Csm, la libertà di stampa. Le procure di Torino e Milano hanno dato disposizioni stringenti, Roma ha divulgato una circolare per «invitare i magistrati all’essenzialità delle notizie».
A Bologna, l’attento procuratore Giuseppe Amato, ha prodotto un articolato documento infarcito di citazioni, che mira però a salvare il diritto di cronaca. Il punto di partenza è la presunzione di innocenza. Il decreto, recependo la direttiva europea, vieta alle «autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole una persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata». Ragionando sul concetto di autorità pubblica il procuratore Amato non annovera solo i magistrati e le forze dell’ordine, ma considera anche i ministri e altri funzionari pubblici. Questo per rimarcare che la presunzione di innocenza va coltivata da tutte le autorità, non solo da quelle che indagano, a volte con eccessivo clamore. Il codice di procedura penale stabilisce che il pubblico ministero deve indagare anche accertando «fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Ai giornalisti spetta il compito di raccontare, e quando si può vigilare. Se le procure lo consentono, adesso