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 2022  giugno 02 Giovedì calendario

La nausea dei circoli letterari

La cultura di massa ha ucciso la cultura; il giornalismo culturale ne ha officiato la sepoltura. Sono i buzzurri a decretare il successo di uno scrittore: gli “credono ciecamente, sulla parola” proprio perché non l’hanno letto. Ormai esiste solo La letteratura da voltastomaco: è il 1950 quando Julien Gracq – pseudonimo di Louis Poirier (1910-2007) – licenzia un feroce e ironico pamphlet contro “l’elettoralizzazione della letteratura”, che non nega consensi, poltroncine e prebende a nessuno; contro la balcanizzazione delle pagine culturali in soffietti e marchette; contro i circoli asfittici di intellettuali e artisti; contro i salotti polverosi e conformisti, ammantati di vago impegno politico.
Dopo una prima edizione italiana con Theoria nel 1990, La littérature à l’estomac torna in libreria con De Piante Editore, la curatela di Émil Ronìn e la prefazione di Goffredo Fofi, che in questo minuto j’accuse intravede il germe de La società dello spettacolo di Guy Debord, uscita quasi vent’anni dopo. Se in Francia la “cultura come oppiaceo” si era diffusa già nel dopoguerra, in Italia questa bizzarra tossicodipendenza è più recente: perciò Gracq incalza e sollecita e irrita ancora il (non) lettore nostrano, pur essendo un autore poco noto – anche in patria le sue opere ottennero fortuna solo dopo il gesto eclatante di rifiutare il Goncourt nel 1951 per La riva delle Sirti.
I bersagli del francese non sono tanto i suoi colleghi star – i Sartre, i Camus, le de Beauvoir, i Genet (“un ergastolano” che scrive “sui muri”) – quanto il fenomeno in sé dello scrittore-celebrità, creato ad arte dai media e idolatrato dal grande pubblico. Di illetterati. In una sbornia collettiva, un “arruolamento in massa”.
I pochi talenti richiesti al Grande Autore sono saper “sproloquiare alla radio e infilarsi nella giuria di un qualunque premio letterario, dove a sua volta l’anno seguente alleverà un nuovo ‘puledro’”. La letteratura è ridotta a contorno, a chiacchiera: “È essenzialmente una cosa di cui si parla” – non importa come e con quale competenza –, “è uno sfondo sonoro, un frastuono di folla sovreccitata e instabile, una sorta di febbrile mormorio di un’eterna Borsa valori”.
Nei salotti, sui giornali, nei circoletti à la page dove si intrattengono amabilmente conversazioni letterarie, tra un buffet, un pettegolezzo e un caffè, “proviamo con leggera vertigine l’impressione di avere a che fare in gran parte con dei daltonici che si atteggiano al ‘come se’: parlano, parlano instancabilmente di cose che alla lettera non percepiscono nemmeno, che non percepiranno mai; e tuttavia se ne fanno una sorta di rappresentazione immunizzante, con quel tipico fiuto che hanno i ciechi: possono girarvi intorno, e la conversazione procede, agevolmente, sull’orlo degli abissi come il sonnambulo sulla grondaia. Il fatto è che bisogna per forza pronunciarsi e sentenziare; impossibile sfuggire… Da qui gli intrighi parlamentari, le gelosie, gli imbrogli da serraglio, le manovre di corridoio, i congedi della clientela, le maldicenze giornalistiche, gli scrutini truccati, più machiavellici di quelli della Serenissima Repubblica, il cursus honorum disseminato di trappole e di espedienti, che rendono la vita letteraria scarsamente eccitante. Così lo scrittore francese dà a se stesso l’impressione di esistere molto meno nella misura in cui lo si legge che nella misura in cui ‘se ne parla’”.
Purché se ne parli, il Grande Autore deve imporre la “moda del giorno, in un Paese in cui si legge relativamente poco ma dove la letteratura, agli occhi di chiunque non sia un analfabeta, figura da sempre in una posizione eminente fra quei ‘topics’ di cui, come segno di buona educazione, è bene occuparsi, e su cui è bene pronunciarsi”.
Gracq denuncia addirittura la “straordinaria manovra d’intimidazione da parte del non-letterario più aggressivo” e, con sorprendente anticipo sui tempi, la spettacolarizzazione “da luna park” della letteratura, stritolata tra la ciarla e l’istantanea, Twitter e Instagram, si direbbe oggi: il mondo delle Belle Lettere è “una civiltà innamorata delle immagini parlanti”. I sedicenti cronisti culturali “tracciano oggi per l’occhio, più che per l’intelligenza e il gusto, un ordine di precedenza ossessivo, un’immagine esteriore… Ancor prima di avere un talento quotidiano favoloso, diviso in puntate dalle edizioni dei giornali e dalle trasmissioni radiofoniche, lo scrittore moderno è diventato una figura dell’attualità, e in quanto tale magico”. Il Grande Autore funziona come un gigantesco “cartellone pubblicitario”: è una “personalità mondiale”, un “arbitro delle mode”, un “direttore di coscienze di infimo rango che elargisce a caso, sulle più svariate riviste e alla radio, banali ricette morali e sentimentali”, un “gran sacerdote di una religione”. Infine, in mezzo a tanti impegni mondani, il vero intellò trova anche il tempo per godersi la sua “vita segreta”, ovvero scrivere libri. Che nessuno leggerà.