Il Messaggero, 2 giugno 2022
Parla Alan Sorrenti
Latina, forse il 1975. Come ogni buon liceo di provincia anche il Dante Alighieri mantiene la tradizione della festa danzante. Ignaro di doversi esibire davanti a una platea di ragazzini in ghingheri che hanno solo voglia di ballare, alle 22.30 arriva la star che con molta fatica siamo riusciti a invitare, tassandoci a sangue: Alan Sorrenti. L’ho ferocemente voluto io, che da mesi ascolto tutti i pomeriggi l’album Aria. L’ho imposto ai compagni di scuola e ora me ne pento perché, con tutta evidenza, noi non siamo il suo pubblico e lui non è l’artista per farci scatenare. Se ne va, infatti, appena la decenza e quattro, cinque canzoni lo permettono.
Rievochiamo quegli anni lì (lui non ricorda assolutamente quel concerto) parlando dell’ultimo Alan Sorrenti, quello del nuovo singolo Giovani per sempre, presentato due giorni fa al festival Mi AMI a Milano. Alan Sorrenti è forse uno degli artisti italiani generazione baby boomer che meglio ha interpretato tutte le stagioni vissute dai suoi coetanei.
È stato intimista e attratto dalla cultura orientale quando i ventenni andavano in India o nella California new age (l’ha fatto anche lui). Poi, di colpo e con largo anticipo sull’onda degli edonisti Anni 80, se n’è uscito con Figli delle stelle. Esattamente quarantacinque anni fa. Captando che il mondo stava cambiando, che i ragazzi volevano smetterla con gli Anni di piombo e riprendersi la voglia di ballare. E poi Tu sei l’unica donna per me, Non so che darei: hit che hanno scandito l’ultima Golden Age di varie generazioni.
Nel frattempo, figlio del suo tempo oltre che delle stelle, Alan Sorrenti si infilava in tutti i tunnel bui di quegli anni luminosi e tragici. Anche quello dela tossicodipendenza. «Ho rischiato di non esserci più. Almeno un paio di volte. Mi ha salvato il buddismo».
E adesso arriva Giovani per sempre, ancora una volta in sintonia con una generazione che vuole sentirsi vicina a com’era quarant’anni fa. Non per niente andiamo ai i concerti degli artisti che amavamo quarant’anni fa.
«Giovani per sempre non ha niente di nostalgico - dice Sorrenti - Non condivido il rimpianto per il tempo passato che era meglio dell’oggi. Questa canzone significa vivere il presente, viverlo bene con gli altri. Anche io ho dovuto impararlo, trenta anni fa ero concentrato su di me, il che anche inconsciamente ti porta a far male ad altri. Come si cambia? Prendendosi cura delle persone che ami. E occupandosi degli altri. A me piace lavorare con i giovani, con loro ho rapporti quotidiani, del resto. Ho un figlio di 19 anni che vive a Roma, con me. L’altro è piu grande, sta negli Stati Uniti».
Napoletano di formazione ma con una madre gallese. Quanto ha contato nella scelta di fare musica? Il Galles, a cominciare da Tom Jones, è terra di artisti.
«A dire il vero il musicista era mio padre. Ma passare le estati nel Galles mi ha fatto conoscere interpreti ignoti in Italia, mi ha portato a plasmare la lingua italiana come fosse l’inglese. Il momento in cui ho capito che la musica era la mia strada? Avevo 16 anni, ero in camera mia, ascoltando un brano dei Beatles. Ho provato una sensazione fortissima, quasi estatica, piangevo di gioia».
Come si passa dalle atmosfere intimistico orientali di Aria a Figli delle stelle?
«Studiavo al Dams, a Bologna, e per una ricerca chiesta da un mio professore ero finito a registrare musica tribale in Africa. A un certo punto capitiamo attorno a mezzanotte in un villaggio. Chi mi accompagnava sveglia il capo tribù, nel villaggio c’erano anche studenti francesi, improvvisiamo una jam session. Figli delle stelle è nata dopo ma la scoperta del ritmo la devo a quella notte».
Poi, come per molti della generazione babyboomer, c’è stata altra scoperta, quella dell’America. La California
«Dovevo andare via dall’Italia, c’erano gli Anni di piombo, non stavo bene. Nella California di allora mi ci sono letteralmente tuffato».
Un successo dopo l’altro e poi
«Sali in alto e poi cadi. Ho dovuto lavorare a una lenta ricostruzione di me, trovare il senso della vita. Nel 1988 ho cominciato ad esplorare il buddismo. Nella mia vita non c’era mai stato niente di costante, il buddismo è diventata la mia guida. Ho vissuto e ho rischiato. Sono stato fortunato, potevo morire, due o tre volte l’ho scampata per caso. Non è successo. Nel tempo che sto vivendo mi trovo bene. In fondo, c’è un senso in tutto quello che è stato».