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 2022  giugno 02 Giovedì calendario

I pescherecci non escono: spigole e triglie su del 30%

A Chioggia è sciopero a oltranza delle marinerie (con corteo acqueo nei giorni scorsi fino a Venezia). E così a Fiumicino e ad Ancona. Non una sola flotta peschereccia italiana rinuncia in questi giorni alle proteste più o meno forti - per il caro gasolio, il cui prezzo dall’indomani dell’inizio della guerra in Ucraina è lievitato tre volte (in aggiunta agli aumenti precedenti). Ormai conviene stare fermi piuttosto che pescare, perché è impossibile in una nottata in mare aperto recuperare i costi di carburante e personale. Anche perché, purtroppo, il Mediterraneo è sempre più povero e già in questi giorni facendo media sull’interno anno è come se smettessimo di mangiare pesce italiano, ma solo quello importato dall’estero. Nel 2021 la data simbolo fu il 29 aprile. Dati recenti indicano in 900 milioni di euro il valore del pesce made in Italy a fronte di ben 5 miliardi di importazione.
IL SETTORE
Fedagripesca ha intanto calcolato che il caro gasolio ha causato una perdita secca da febbraio ad oggi di 200 milioni di euro. Dati che ieri pomeriggio sono stati esposti al sottosegretario all’agricoltura Francesco Battistoni. Il punto è però che il ministero dell’Agricoltura non ha la competenza sul prezzo del carburante (già sgravato in questo caso dalle accise) e sulla cassa integrazione nei periodi di fermo (che viene concessa dal ministero del Lavoro). Battistoni, comunque, ha assunto di fatto il ruolo di coordinatore delle diverse questioni aperte. «Il primo intervento concreto ha detto - è stato il credito di imposta per l’acquisto dei carburanti, il secondo è aver ottenuto il via libera di Bruxelles per la compensazione dei costi aggiuntivi e il terzo è la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto filiere che eroga alla pesca 20 milioni di euro. I fondi sono erogabili immediatamente». «Tre misure concrete di sostegno diretto al reddito, elaborate in appena dieci giorni dalla precedente riunione», conclude Battistoni. Nonostante l’apprezzamento dei delegati al tavolo, il malumore nel settore resta grande, come dimostrato dal centinaio di persone che hanno protestato ieri a Roma. Una manifestazione iniziata in modo pacifico che ha però visto a fine serata momenti di tensione e scontri con le forze dell’ordine. Le marinerie italiane hanno un pacchetto di richieste: il prezzo fisso sul gasolio con un tetto massimo di 70 centesimi; il credito di imposta dal 20 al 50% ed infine il blocco immediato del pagamento delle rate dei mutui in corso. L’arrivo delle notizie da Roma nei diversi porti sono state accolte in modo difforme e probabilmente solo oggi si saprà se torneranno in mare i pescatori, alcuni dei quali in serrata già da parecchi giorni, come gli abruzzesi, quelli di Cesenatico e Ancona e di alcuni centri della Campania. E presto potrebbero aggiungersi anche le proteste degli addetti degli 800 impianti di acquacoltura (circa 500 milioni di euro di fatturato l’anno).
«Anche noi stiamo sostenendo pesanti costi aggiuntivi», spiega Pier Antonio Salvador, presidente di Api. «Senza neanche poter chiudere gli impianti, perché anche se la gente spende meno, noi dobbiamo curare gli allevamenti, non possiamo chiuderli e i mangimi da febbraio costano ben più del doppio. Ci piacerebbe avere l’attenzione dei politici senza bisogno di scendere in piazza». La situazione pesa anche sui consumatori perché da marzo il prezzo del pesce al dettaglio è aumentato di circa il 30% (senza compensare, comunque, le maggiori spese degli armatori). La crisi colpisce in uno dei momenti più importanti specialmente per le flotte che operano nel Tirreno: appena cinque giorni fa è iniziata la pesca del tonno rosso che nel resto dell’anno è vietata o calmierata con quote prefissate.