La Stampa, 1 giugno 2022
Padri un po’ così così
Nelle prime scene del film La famiglia di Ettore Scola si vede l’ottantenne capostipite, interpretato da Vittorio Gassman, cullare tra le braccia un neonato mentre gli chiede: «Chissà cosa diventerai, un imbecille o un genio?» «Quante storie», fa la moglie alle sue spalle, «diventerà un figlio di Dio». E Gassman: «Come carriera, un po’ modesta».
La prima volta che ho tenuto tra le braccia mia figlia (circa dieci secondi dopo che era nata), mentre registravo la sua gelatinosa presenza e sentivo aprirsi i canali di un sentimento sconosciuto, si è affacciata in me la certezza che la carriera modesta sarebbe stata la mia: la carriera di uno che non era né un genio né un imbecille, ma di certo privo di vocazione di partenza e che adesso, padre, lo era sul serio perché il sogno era appena diventato realtà. E dire che a me il sogno era andato benissimo, era proprio necessaria la realtà? Per sogno intendo lei che palpitava, molto presente ma in fondo ancora assente, nei sargassi amniotici nella pancia di mia moglie, pancia che io auscultavo la sera, per ore, dopo che avevamo messo su un trio per pianoforte di Haydn; lei che, fino a quel momento, era stata il trio numero 8 e le nostre parole su di lei, quindi non lei – non del tutto, anzi per niente – ma piuttosto una nostra privata fantasticheria dopo le ecografie, quando tornavamo a casa spaesati e contenti, il mondo aveva solo angoli luminosi ed entrambi, fermandoci al supermercato per i consueti sette ettolitri di succo di mirtillo, la assemblavamo e scomponevamo a piacere attribuendole un colore di capelli, scongiurando il tratto caratteriale di uno zio remoto e sgradevole, ipotizzandole una predilezione per il violoncello, l’astrofisica o la ricostruzione unghie con tip, insomma, il sogno di due ubriachi che blaterano, cominciato la prima volta in cui avevamo sentito il battito del suo cuore sotto forma di minuscolo galoppo amplificato, un beat alieno e inspiegabilmente familiare – senti qua la suprema forza motrice, mi dicevo trasumanando e organizzando sensazioni che non riuscivo a organizzare, senti la grande percussione del mondo, la trazione integrale della vita, senti la cilindrata dei destini generali!
Ma tornando a terra, cioè a me: certezza lieta di carriera modesta e in quanto tale pienamente accettata, perché come mai prima, davanti a mia figlia appena nata, io ho sentito tutta la consistenza della vita e la sua terribile serietà, quindi l’ovvia impossibilità di essere all’altezza. Ho giurato, a quel malloppino umano appena inaugurato, impegno allegro e bestiale, ma ho confessato seduta stante che nonostante questo sarei stato un genitore un po’ così, perché si è sempre, inevitabilmente, genitori un po’ così. E anche adesso, ogni volta che mi rendo conto di quanto questa carriera sia modesta rispetto alle aspettative che si hanno su di sé (come tutte, sempre narcisistiche e basate sulla vita di un altro) mi viene da ridere perché ora so che il senso è andare comunque avanti: te lo chiede tuo figlio, niente pause, nessuna retrospettiva sottotitolata, tutta vita che non si rimugina, non c’è tempo, non c’è modo e meno male, perché io il tempo e il modo, quando li avevo, chissà come diavolo li avevo usati. Ero stufo di essere la sola occupazione di me stesso e mi chiedevo: tutto qui? Poi per anni non ho risposto. Sia chiaro, anche quando rispondi, non rispondi nel pieno possesso delle tue facoltà dato che non hai la minima idea di cosa ti capiterà e di cosa significherà avere la responsabilità assoluta e irrevocabile di un altro essere umano, ma un giorno rispondi perché vuoi abbandonarti, perché vuoi lasciare andare la penna sul foglio. Così un attimo dopo ti ritrovi in una sala color malva, avvolto in un camice verdolino, immesso nel tempo e in una storia che speri di riconoscere. È la tua: la fatica è più fatica, certo, ma immensa la felicità che cancella la fatica, immensa la bellezza di avere un compito (l’avresti mai detto?) e quel senso di rigenerazione, le energie impensabili. Tutto quello che devi sapere, tutto quello che sulla carta ti spaventava, lo si impara, invece, senza scosse, in armonia, mettendosi al mondo a vicenda – il tono, il ritmo, l’accordarsi reciproco, questa componente musicale ti dice ogni giorno che tu sei tu, tua figlia è tua figlia, e siete entrambi nel posto giusto. Un figlio non chiede supereroi. Di solito gli basti tu. Chiede solo di poter allungare la mano, certo di trovare la tua. Chiede che tu esista senza impedirglielo. —