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 2022  maggio 31 Martedì calendario

Vestivano alla sovietica, guardaroba della dittatura

Moda filtro della società, abiti rivelatori di progetti politici totalitari, abbigliamento come strumento di controllo degli individui. La camicia nera dei fascisti italiani, quella bruna dei nazisti, la giacca di Mao emblema della rivoluzione culturale del 1966 in Cina, il foulard rosso del Komsomol (i giovani leninisti) che nel 1918 sostenevano il partito comunista dell’Unione sovietica, e il foulard blu che nella Repubblica democratica tedesca (Rda), nella zona di occupazione sovietica, dichiarava l’appartenenza all’organizzazione Giovani Pionieri (1949) sono tutti simboli di identità politiche, di dittature, fascista e comunista. Lo studio di queste divise rivela che sono stati strumenti di propaganda, di omologazione sociale e di controllo della popolazione nella condivisione di valori e ideali politici capaci di creare una comunità unica dietro il dittatore e il capo di turno. Non solo, ma sono stati anche strumento di sviluppo dell’industria tessile locale come nell’Unione sovietica dove, nella Russia bolscevica, si è fatta passare la produzione di massa per pezzi di artigianato, poi con il regime totalitario di Stalin, nel decennio 1929-’39 si sviluppò la moda sovietica frutto di un sistema dipendente dalla casa di moda Dom Modelei (1935). A indagare questi aspetti dell’abbigliamento è il libro di due docenti di scienze politiche francesi, Bernard Bruneteau e François Hourmant, Le vestiaire des totalitarismes: dieci saggi di altrettanti specialisti che spaziano dall’uniforme fascista all’abito femminile della Falange spagnola, all’abbigliamento nord-coreano e le influenze che ha avuto su quello dei regimi cinesi, giapponesi e cubani.