Corriere della Sera, 30 maggio 2022
Il difficile mestiere dei raccattapalle
Mentre davo un’occhiata alle imprese di Jannik Sinner e di Lorenzo Sonego (è del Toro) al Roland Garros la mia attenzione è stata colpita dai raccattapalle. Su cui non si presta mai abbastanza attenzione, a cominciare dal nome. Che è brutto, ammettiamolo. Se i cronisti che a bordo campo strappano commenti agli atleti venissero chiamati raccattaopinioni, ci sarebbe una mezza sollevazione. In inglese, i raccattapalle si chiamano ball boys o ball girls e suona meglio.
Provate un po’ a seguirli. Diversamente dai raccattapalle del calcio, che intervengono meno e la cui missione principale è quella di affrettare il recupero palla se la squadra di casa sta perdendo o di rallentarlo se invece sta vincendo, i ball boys e le ball girls sono parte essenziale del gioco. Devono essere rapidi, scattanti, «servizievoli» (meraviglioso il momento in cui forniscono le tre palle a chi è di servizio e questi, con un colpo d’occhio, ne rispedisce una indietro) ma soprattutto quasi invisibili, mai protagonisti.
Siccome frequentano i circoli del tennis (che sono ambienti un po’ esclusivi), ho l’impressione che vengano addestrati a fare i raccattapalle in un concetto più generale di educazione al tennis. Prima della pandemia, dovevano essere tempestivi nel porgere l’asciugamano al giocatore nel momento della richiesta: non si diventa, la butto lì, buoni tennisti se prima non si frequenta la scuola dei raccattapalle. Mi chiedo sempre come facciano a capire le manie scaramantiche dei vari tennisti (servire Nadal dev’essere un incubo), a sopportare gli sfoghi dei perdenti, a prendersi qualche pallonata e far finta di niente.
Ricordo, tanti anni fa, di un raccattapalle che, durante una partita di calcio, allontanò con un piede il pallone che stava per entrare in rete senza che l’arbitro se ne accorgesse. Ecco, una cosa così è impensabile su un campo da tennis. Questioni di raccattonaggio.