Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  maggio 29 Domenica calendario

Il declino demografico italiano

Dell’Italia noi italiani abbiamo l’immagine di un Paese iperpopolato. E fin qui potremmo convenire. In fondo l’Unione Europea aveva nel 2019 (ultimo dato disponibile al riguardo) una densità di 109 abitanti per kmq, contro una densità dell’Italia nello stesso anno di 197, quasi il doppio di quella europea – superata, dai grandi Paesi dell’Ue, dalla sola Germania. La forbice è destinata a contrarsi con il passare del tempo, dal momento che la popolazione italiana subirà un ridimensionamento proporzionalmente assai superiore a quello europeo, ma la prospettiva di un suo azzeramento non è alle viste.
Ciò detto, noi riusciamo anche a immaginare l’Italia, sotto il profilo del popolamento, come una sorta di blocco unico, sostanzialmente omogeneo e di conseguenza pressoché iperpopolato in ogni sua parte – con l’esclusione, che però appare nell’ordine delle cose, delle aree montuose più impervie. E qui invece non ci siamo affatto. L’Italia, anche per la sua conformazione fisica – che vede i 302.073 kmq del territorio nazionale così ripartiti: territorio montano 35,2 per cento, territorio collinare 41,7 per cento, pianura 23,1 per cento – ha una formidabile variabilità interna di densità demografica, cosicché si diversifica moltissimo tra aree fortemente popolate e aree scarsamente popolate. L’Italia ha intere aree del territorio così popolate da reggere ogni confronto internazionale e altre la cui densità di popolazione rimanda più a certe sperdute lande africane o asiatiche prima ancora che europee. Tra i due estremi la distanza è tale da far pensare che territori così lontani come popolamento da sembrare contrapposti non possano che essere la conseguenza di una altrettanto forte contrapposizione sotto il profilo fisico-climatico. E in effetti, viaggiando lungo gli oltre mille chilometri di lunghezza dell’Italia sull’asse nord-sud, di variabilità tanto fisica quanto climatica se ne incontra molta. C’è dunque indiscutibilmente un tale fattore nella distanza che separa aree e regioni d’Italia sotto l’aspetto così importante del numero degli abitanti per kmq. Ma per spiegare tutta quella distanza occorre pensare anche a fattori che sono piuttosto economici e socio-culturali, se non vogliamo credere che la sola geografia basti a spiegare tutto anche della storia.

Ma cominciamo col vedere come stanno le cose. In Italia abbiamo a oggi 12 province con neppure 60 abitanti per kmq, decisamente meno di un terzo della densità italiana e poco più della metà della densità dell’Unione Europea. Le province in questione, seguendo una graduatoria crescente a partire da quella con la minore densità sono: Nuoro (che con 35 abitanti a kmq è la provincia italiana con la più bassa densità di popolazione), Aosta (38), Grosseto (48), Oristano (49), Sud Sardegna (51), Isernia (52), Potenza (53), Rieti (55), Belluno (55), Matera (55), Sondrio (56), L’Aquila (57). Di queste, le prime 4 province hanno meno di 50 abitanti per kmq. Se si esclude la provincia di Aosta, completamente in alta montagna, le province di Oristano, Grosseto e Nuoro non sembrano risentire di fattori fisico-climatici così decisamente limitanti, se non addirittura invalidanti, sotto l’aspetto del popolamento. Lo stesso si può dire delle altre province, ad esclusione di quella di Sondrio e, in minore misura, di quelle di Belluno e L’Aquila, tutte a (diversa) prevalenza di territorio montuoso. È peraltro di tutta evidenza che le province di Trento e Bolzano, che non sono, quanto a montuosità, seconde a nessuna delle province più disabitate, non rientrano nell’elenco delle province con meno di 60 abitanti per kmq.
Le dodici province considerate misurano complessivamente oltre 49 mila kmq, per una popolazione totale di 2,461 milioni di abitanti e una densità di 50 abitanti a kmq, un quarto di quella italiana. Questo dato non è solo abissalmente lontano dai valori di densità delle province più densamente popolate, tra le quali quelle di Napoli, Monza e Milano superano addirittura i 2 mila abitanti a kmq, ma inclina decisamente in direzione di uno spopolamento di fatto, a maggior ragione in quanto, se escludiamo i capoluoghi di provincia e consideriamo il resto dei comuni, la densità scende a 41 abitanti a kmq. Un valore che implica vaste aree di queste province ben sotto i 30 abitanti per kmq, che indiscutibilmente appare come una soglia di desertificazione.
Nonostante l’ingombrante, ai fini del popolamento, presenza delle Alpi, solo tre di queste provincie (Aosta, Belluno e Sondrio) si trovano al Nord, due (Grosseto e Rieti) al Centro, ben sette nel Mezzogiorno. Con un gradiente grossomodo di questo tipo: Nord, una provincia a densità di popolazione molto bassa, con aree interne pressoché desertiche, ogni 9 milioni di abitanti; Centro una provincia siffatta ogni 6 milioni di abitanti; Mezzogiorno una ogni 3 milioni di abitanti.
Segnatamente sono tre le regioni italiane che mostrano una tendenza alla desertificazione già estremamente marcata: la Basilicata, presente nell’elenco con entrambe le province di Potenza e Matera; la Sardegna con ben tre province (Nuoro, Oristano, Sud Sardegna) delle sue cinque complessive; l’Abruzzo e il Molise, uniti in una stessa regione fino al 1963, con le province de L’Aquila e Isernia sulle sei complessive.
Ci sono altre situazioni estremamente critiche sotto questo aspetto – come, per citarne solo due, Enna e Campobasso. La provincia di Enna supera di pochissimo il confine dei 60 abitanti, tanto che il «diritto» a entrare nella graduatoria delle province più desertificate è rimandato probabilmente di non più di un paio di anni – quando andrà a maggior ragione a rappresentare lo spopolamento che sta colpendo le zone più aride della Sicilia; mentre quella di Campobasso finirà per completare lo spopolamento del Molise in tempi di poco più lunghi. Il confine dei 60 abitanti a kmq non è certo un criterio scientifico, conviene ribadirlo, è solo indicativo, ma si pone piuttosto efficacemente come spartiacque.
Due punti sono centrali per avvalorare il discorso sulle aree italiane già con caratteristiche di desertificazione. Il primo è che, se si tolgono i capoluoghi in nessuna delle dodici province considerate si arriva a 50 abitanti a kmq nel totale dei restanti comuni, complessivamente considerati, delle suddette province. Sotto questa soglia la situazione del popolamento si fa critica, anche se (e la cosa vale segnatamente per le province di Sondrio e Belluno) esso può presentare forti sbalzi tra aree interne alle singole province collegati principalmente a condizioni altimetriche fortemente differenziate.
L’altro è ancora più importante e riguarda la più forte perdita di popolazione accusata da queste province dall’anno (2014) in cui, dopo aver raggiunto la punta massima del popolamento, la popolazione italiana comincia a diminuire – cosa che farà indefessamente fino alla fine del secolo, quando, a stare alle stime scientificamente più attendibili, si collocherà tra più di 30 e meno di 40 milioni di abitanti.

Le 12 province in questione perdono abitanti tra il primo gennaio 2014 e il primo gennaio 2022 a una velocità molto superiore a quella dell’Italia. Infatti mentre la popolazione italiana perde 1,363 milioni di abitanti, pari al 2,3 per cento dell’ammontare degli abitanti al primo gennaio 2014 (60,346 milioni), la popolazione delle 12 province a più bassa densità scende di 145 mila abitanti, pari al 5,6 per cento dei 2.606 milioni di abitanti che contavano al primo gennaio 2014: una perdita proporzionalmente 2,5 volte più grande di quella media della popolazione italiana. Non una sola di queste province aumenta gli abitanti, cosa che non meraviglia alla luce delle tendenze della popolazione italiana, ma soprattutto non una di queste province perde meno della media nazionale – solo quella di Sondrio ha una diminuzione di pochissimo superiore, in tutte le altre si oscilla tra diminuzioni di popolazione nel periodo considerato che vanno da poco meno del 4 fin quasi all’8 per cento. Le province con le perdite più alte sono tutte del Mezzogiorno. Altro dato che conferma quello che ormai già sappiamo: il Mezzogiorno perde e perderà abitanti a una velocità ben superiore a quella del Nord, cosicché saranno le sue aree più interne e periferiche a correre il rischio di una desertificazione crescente – come del resto dimostra anche il fatto che le province che scenderanno sotto la soglia dei 60 abitanti a kmq nei prossimi anni saranno a grande prevalenza del Mezzogiorno.
Attenzione alle sottovalutazioni, perché i «deserti» non sono affatto piccoli. Tutto il contrario, preoccupano proprio per la loro estensione. Complessivamente misurano infatti, come si accennava, oltre 49 mila kmq, un sesto della superficie nazionale – e sono in aumento. La superficie territoriale media delle 12 province con meno di 60 abitanti a kmq è di 4.095 kmq, il 45% in più dell’estensione media delle province italiane (2.822 kmq). Solo la provincia di Isernia ha una superficie inferiore a quella media. Potenza, Sud Sardegna, Nuoro, L’Aquila, Grosseto sono tra le province più estese. La tendenza a una maggiore estensione è rafforzata anche dall’ampiezza territoriale dei comuni che rientrano in queste province, che hanno una superficie media di 56,3 kmq contro una superficie media di 38,2 kmq dei quasi 8 mila comuni italiani. Ma per quanto più piccoli i comuni italiani hanno un numero medio di abitanti che è tre volte superiore a quello dei comuni delle 12 province: 7.462 abitanti contro appena 2.822. 
Grandi estensioni territoriali tanto provinciali che comunali, dunque, per pochi, pochissimi abitanti che diventano sempre meno: questa in estrema sintesi la foto dell’incedere del deserto. 
Il confronto con le province con una densità doppia di quella media nazionale, ovvero con più di 400 abitanti a kmq, che sono anch’esse 12, ci offre il destro per un’ultima annotazione. La superficie media di queste 12 province ad altissima densità è assai più piccola di quella media delle 107 province italiane. Anche la superficie media dei comuni di queste province – per quanto comprendano comuni come Roma, Milano e Napoli, i più popolosi d’Italia – è assai più piccola di quella dei quasi 8 mila comuni italiani. La media degli abitanti a comune è invece molto superiore a quella dei comuni italiani e ben cinque volte più grande di quella dei comuni delle 12 province meno densamente popolate. Sorvolo sulle cifre per venire al nocciolo della questione.

La perdita di popolazione dell’Italia iniziata alla fine del 2014, e che ha preso la china che tutti sanno, avviene in modo tale da approfondire a dismisura le differenze territoriali del popolamento italiano. Sembra quasi di essere nel detto evangelico che sempre farà discutere: «A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha». La popolazione avrà infatti una migliore tenuta nelle aree densamente popolate (e ricche); precipiterà in quelle più spopolate (e povere), già desertiche o con una chiara tendenza alla desertificazione. Dovremo aspettarci una contenuta restrizione delle prime, che reggeranno l’urto; e un’estensione crescente delle seconde, che all’urto dello spopolamento sembrano invece destinate a soccombere. E allora sia detto fuor di metafora: o queste seconde trovano una ragion d’essere assieme economica e culturale per affrontare il tempo che incombe con tutto il suo carico di novità e problemi, o usciranno dall’attualità e pure dalla storia sotto la forma di autentici, e a quel punto irriducibili, deserti.