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 2022  maggio 29 Domenica calendario

Biografia di Irma Testa raccontata da lei stessa

Sono foderati di gentilezza i guantoni da boxe che hanno spinto Irma Testa a conquistare la medaglia di bronzo alle Olimpiadi e d’argento al Mondiale. La prima donna italiana capace di arrivare così in alto su un ring internazionale è un prodigio di coraggiosa delicatezza, una miscela inattesa per chi pratica uno sport di combattimento. A 24 anni Irma ha già vissuto tante esperienze, lasciando la sua Torre Annunziata per andarsi ad allenare ad Assisi (dove si trova il centro tecnico della boxe italiana) e sfidando i tabù con le dichiarazioni pubbliche sulla sua omosessualità. Ma la vera missione, alla quale dedica il 90% delle sue energie, è quella di portare in alto il pugilato femminile difendendo sempre un’idea elegante di questa affascinante disciplina. L’atleta campana non si sottrae a nessuna domanda nella sede milanese del suo sponsor Le Coq Sportif: dall’invasione russa in Ucraina al ddl Zan.
Ha appena perso la finale del Mondiale in Turchia contro un’avversaria che non è stata correttissima durante l’incontro.
«Gliel’ho permesso io. L’ho fatta entrare troppo nella mia guardia. In tanti mi dicono che dovrei essere più cattiva sul ring. Ma la mia boxe è diversa. Mi piace essere elegante, portare colpi ariosi e lunghi. Devo pensare a migliorare nei dettagli se voglio arrivare all’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024. Ad esempio, posso sicuramente fare meglio nel corpo a corpo e posso essere più imprevedibile. Ma non rinuncerò alla mia boxe pulita. È la forza di noi donne sul ring. Ne parliamo spesso in palestra ad Assisi. Possiamo fare un bel pugilato, questa è la nostra forza per conquistare appassionati e spazio in tv, allontanando lo scetticismo. Abbiamo già allontanato tanti pregiudizi, quelli di chi continuava a ripeterci che dovevamo restare a casa, non salire su un ring».
Quali sono i modelli di boxe elegante a cui si ispira?
«Sicuramente Muhammad Alì, è stato un emblema sublime di come si possa fare boxe essendo contrari alla violenza. È stato un campione di questo sport credendo in tutto quello che andava contro gli stereotipi del pugilato. Sul ring pareva che accarezzasse gli avversari con i suoi colpi. Attualmente posso citare l’ucraino Lomacenko. Ma penso anche ad atleti di altre discipline. In Italia dobbiamo tantissimo a Valentina Vezzali e Federica Pellegrini. È grazie a loro se lo sport femminile nel nostro Paese ha fatto tanti passi avanti. E alle ultime Olimpiadi le donne della delegazione azzurra erano quasi pari agli uomini».
Come è cambiata la sua vita dopo il coming out?
«È cambiato molto poco perché vivo perennemente in ritiro ad Assisi. Vado via solo quando ho bisogno della confusione di Napoli, ma dopo pochi giorni torno in Umbria perché mi manca la tranquillità. Non sento il peso della notorietà. Devo solo fare attenzione a quello che dico, perché è facile correre il rischio di essere fraintesi. Cerco di esprimere le mie idee senza offendere o urtare la sensibilità di qualcuno. E ci resto male se qualche cretino dice che non merito le mie medaglie per il mio orientamento sessuale».
Perché ha deciso di parlare pubblicamente della sua omosessualità?
«Non per chi mi sta vicino, visto che ne erano tutti a conoscenza. L’ho fatto perché ho avvertito che nel mondo della boxe fosse ancora un tabù. E penso che in altri sport lo sia ancora. Ad esempio, non credo che nel calcio non ci siano omosessuali. Ma sono convinta che, se un fuoriclasse ne parlasse davanti a tutti, la sua immagine nel mondo del pallone e agli occhi dei tifosi non sarebbe più la stessa. Mi sono esposta per i più deboli perché io posso farlo: le medaglie sono il mio scudo. Altri non sono così fortunati».
A proposito di calcio, è giusto che i Mondiali si giochino in Qatar, dove i diritti della comunità gay non sono rispettati?
«Lo sport può aiutare il cambiamento. Può portare riscatto e uguaglianza sociale. Lo sport condiziona i popoli e cambia il destino delle nazioni. Noi atleti ci alleniamo costantemente. Non possiamo tirarci indietro».
Che cosa ha provato quando ha visto il Senato applaudire la bocciatura del ddl Zan?
«È stato brutto perché non si può gioire in modo così scomposto quando non passa un provvedimento che riguarda i diritti civili delle persone Non si può esultare senza freni quando viene affondata una legge a tutela delle persone fragili».
Che cosa pensa delle conseguenze sportive della guerra in Ucraina?
«Si è sentita la mancanza dei russi ai mondiali. Mancavano loro, che rappresentano una delle scuole migliori e vincono sempre 4-5 medaglie, proprio nell’edizione con più Paesi partecipanti. Ma credo non si potesse fare diversamente per far capire che il mondo condanna il capo di una nazione che sta facendo qualcosa di feroce. Mi dispiace perché ci conosciamo con tanti pugili russi, anche se adesso non ci sono contatti perché si sono isolati. Non è facile per loro parlare, visto il controllo del governo russo sulle opinioni dei cittadini. E ho ancora negli occhi le famiglie dei pugili ucraini che seguono in ogni spostamento gli atleti e gli allenatori perché non possono più tornare a casa: figli, genitori, nonni, nipoti, tutti al seguito della squadra da un evento sportivo all’altro in giro per il mondo. Per loro è così da febbraio».
Praticare la boxe aiuta ad avere coraggio nell’esprimere le proprie opinioni?
«Forse sì, perché bisogna essere un po’ folli ad accettare di salire su un ring sapendo che prenderai colpi che ti faranno male. Sai di andare incontro al dolore. Per le donne vale ancora di più che per gli uomini. Per accettarlo devi avere qualche problemino di testa. Sul ring non te ne accorgi perché c’è l’adrenalina. Ma il giorno dopo qualche volta fai fatica a masticare».
Nei suoi programmi c’è il passaggio al professionismo?
«Mi piacerebbe, vediamo dopo le Olimpiadi di Parigi tra due anni. Bisogna essere contattati dalle agenzie di procuratori internazionali che possono disporre delle borse per i grandi incontri. Come quello tra Katie Taylor e Amanda Serrano al Madison Square Garden alla fine di aprile. Era tutto esaurito, come per i grandi combattimenti tra uomini. È stato bellissimo. Hanno fatto una boxe per certi versi migliore di quella dei colleghi maschi. Se le sono date di santa ragione. Adesso penso di potercela fare ad arrivare al professionismo, anche se servirà tempo perché posso competere con loro sulle tre riprese come faccio tra i dilettanti, ma loro ne fanno 12. Alla quinta, sesta o settima attualmente non ce la farei. E hanno il colpo forte. Ma, anche se passassi al professionismo, resterei ad allenarmi ad Assisi con il mio tecnico».
Dopo le sue medaglie a Tokyo e Istanbul è aumentato il potere di attrazione della boxe sulle ragazze in Italia?
«Sì, le affiliazioni crescono in modo esponenziale ogni anno. Ed è bello ascoltare le ragazze delle nazionali giovanili che mi raccontano di essersi avvicinate alla boxe grazie ai miei successi. Vincono i tornei under. È una soddisfazione. Dobbiamo continuare su questa strada per avere più spazio in tv perché in Italia si parla solo di calcio. Negli Stati Uniti, invece, ogni sport ha la sua dignità».
Che rapporto ha con Torre Annunziata?
«Mi piace tornare a casa. Sono sempre felice di rivedere la famiglia e gli amici. Conosco Ciro Immobile e sono contenta che porti lustro alla nostra città, come ogni altro elemento positivo che possa proiettare una bella luce buona su un luogo dove purtroppo c’è la faccia cattiva della criminalità organizzata. Mi piacerebbe fare qualcosa di utile per la mia terra, per non sembrare una che è brava solo a tirare pugni. Cerco di parlare ai più piccoli per avvicinarli allo sport. Se ogni persona scegliesse la sua strada lontano da un ambiente negativo, svuoteremmo il mare della criminalità. Bisogna far capire che tenersi lontani da un certo mondo negativo non vuol dire rimanere esclusi. Anzi. È esattamente il contrario. Cerco di far passare questo messaggio incontrando i ragazzi nelle scuole e nella palestra Vesuviana, dove ho iniziato con la boxe da bambina».
E tra pochi anni una ragazza di Torre Annunziata potrebbe arrivare al Madison Square Garden di New York.
«Sono fortunata perché i sacrifici mi hanno permesso di girare il mondo facendo lo sport che è la mia passione. Non mi arrendo più alla stanchezza del mio corpo, come facevo in passato. Nonostante il dolore ai muscoli dopo un incontro, ora tiro dritto come un treno. Adesso so di potercela fare. E quello che conta è non smettere mai di praticare la mia boxe pulita e corretta. In fondo a New York ha vinto Katie Taylor ma è diventata molto più famosa Amanda Serrano per il suo stile di combattimento».