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 2022  maggio 29 Domenica calendario

Che fine ha fatto Valeria Rossi

rendi una donna inquieta, curiosa, più dedita a scrutare dentro di sé che a perseguire il successo mondano, e fanne improvvisamente una star. Sembra un paradosso. Però è quel che succede a Valeria Rossi nell’estate 2001. Scaraventata nei meccanismi del palcoscenico, osannata da folle festanti, circondata dal parapiglia dello show business.
Un’autrice che prende Tre parole, mixa tre rime fondamentali della canzone italiana (sole, cuore e amore) e ne fa un tormentone che ti si appiccica in testa e che cantano tutti. Ne seguono due anni di corsa a perdifiato, «ma io non mi sento affatto una meteora e se dopo più di vent’anni siamo ancora qui a parlarne, qualcosa vorrà dire».
Vive quel periodo con curiosità «ma anche un po’ di distacco, come se in certi momenti fossi un’osservatrice terza di quello che stava accadendo». Intanto Tre parole, con le sue centomila copie vendute, si avvia a diventare uno dei grandi successi della musica italiana. Ripete: all’inizio era tutta una sorpresa: «Ero un’autrice, non una performer. Non sapevo nulla dei bagni di folla». Poi emerge la consapevolezza: «Stava diventando tutto anomalo. E sentivo che stavo perdendo il controllo sulla mia esistenza».
Una nuova urgente esigenza stava emergendo da dentro: «La mia vocazione mi chiamava verso qualcos’altro, riallacciando i fili della mia esistenza a come ero da adolescente. Il successo era stato quasi un incidente di percorso».
Perché un brano non viene alla luce, appunto, per avere successo: «L’opera non può nascere con quell’intendimento. Deriva da un altro stato, poi può giungere anche quello. Perché arriva a tante persone».
Così la sua vita ha una svolta. Parlare di Siddharta le induce un sorriso, ma lei sa qual è il significato profondo del romanzo di Hermann Hesse. Si ritira da quel pandemonio. Sceglie un’altra strada, che le permetta di avere più tempo per se stessa. Con una sé stessa più pacificata. Nell’estate del 2021, a vent’anni dal suo grande successo, l’avevamo trovata lavorare all’ufficio anagrafe di un Comune vicino a Milano. «Faceva parte del mio quadro personale da sempre, io ho fatto studi di Giurisprudenza. Tanti anni di Diritto».
Il caso? Non esiste. «Davvero. Al caso non credo. Ho voluto cogliere opportunità di un concorso. Poi mi sono rotta un piede giocando a calcio. Bloccata a letto ho studiato e ristudiato. Alla fine ho vinto il concorso». È una scelta definitiva? Un lavoro con orari precisi le lascia sufficiente tempo per sé? «Voglio spoilerare. Non sono sicura di riuscire a conciliare tutte le mie attività con un impegno lavorativo così esclusivo. Non sono sicura che questa sia la mia destinazione finale».
Di quali attività parla? Sempre la musica: «Esiste sempre quella che chiamo la "squadra di composizione" e continuiamo a divertirci, con cose che possono avere il loro spazio di azione. Inni sportivi, spot». Poi Valeria scrive. Presentato al Festival del Libro di Torino, è appena stato pubblicato Come un cane bianco. La canzone che vuoi tu, edito da Bertoni: «Un mecenate, un vero amante dell’arte».
Poi ci sono i suoi studi di meditazione corporea. L’intuizione di Wilhelm Reich, che Valeria apprende frequentando un gruppo di psicoterapeuti di Roma e di Milano. «La connessione mente-corpo. Una tecnica molto liberatoria e curativa. Lo studio dell’inconscio la parte sommersa dell’iceberg». Missione? «Provare a portare le persone ad ascoltare il proprio corpo, stabilire una relazione d’aiuto che sia psicologica ma che non trascuri il corpo e lo inserisca nella terapia».
Alla fine, confessa, quella è sempre stata la sua esigenza interiore. Prepotente, non sopprimibile, che torna sempre a emergere: «Aiutare gli altri». Ha rivelato in una recente intervista: «Ce n’è bisogno. Bisogna ascoltare le persone. Dopo la pandemia c’è il rischio di una chiusura che si sfoga poi con troppa aggressività».