Specchio, 29 maggio 2022
La street art racconta tutta un’altra Roma
Nel 2000, alla vigilia del Giubileo, un murales di Keith Haring sul Tevere fu cancellato dal sindaco Rutelli, per non dare ai turisti una brutta immagine della città. Dieci anni prima, un’altra opera che l’artista statunitense amico di Andy Warhol aveva lasciato su un muro di Palazzo delle Esposizioni, venne ripulita dal sindaco Carraro per la visita ufficiale del leader sovietico Michail Gorba?ëv. C’è voluta una generazione perché la città eterna cambiasse atteggiamento, sguardo e spirito. Evoluzione contemporanea del suo status di museo a cielo aperto, oggi Roma è una delle capitali della street art europea. Città protesa al futuro, oltre i pregiudizi, come la vede l’artista belga Roa nel suo murales Jumping Wolf, firmato nel 2014 su via Galvani nel popolare quartiere Testaccio, dove d’improvviso appare una lupa ciclopica alta 30 metri che morde il cielo.
Terzo millennio
I murales del terzo millennio interpretano spesso una memoria collettiva legata ai luoghi. Nel cuore della multietnica Torpignattara, sulla facciata di un condominio, Nicola Verlato nel 2015 ha realizzato Hostia, tributo a Pasolini e al suo amore per le borgate del dopoguerra, fatte di casette e strade sterrate. Come la vicina Pigneto, oggi quartiere di movida e vera galleria en plein air. Anche qui, in particolare a via Fanfulla, diverse opere di autori ormai noti, da MAUPAL a Omino 71, ricordano il poeta friulano.
Sulle tracce della street art si dipana un percorso colorato e sorprendente nelle periferie, da luoghi storici come Mandrione e Quadraro, che si portano nel dna la resistenza nella Roma occupata, ai più anonimi grumi di case di Tor Bella Monaca, periferia est. In oltre trent’anni, mutando approccio e dinamiche, questa forma espressiva si è imposta portando l’arte fuori dai musei, per farsi strumento di comunicazione sociale e riqualificazione del territorio.
I tour fuori dal centro
Da fabbriche abbandonate e cavalcavia, "tele" ideali di un’arte sovversiva e anti sistema, i murales oggi decorano edifici pubblici e privati, lontano dalla primordiale dimensione di clandestinità. Dentro e fuori dal grande raccordo anulare, opere colossali, figure titaniche e sgargianti, nate per salvare dall’oblio pezzi di periferia, stupiscono affacciate da palazzi, sottopassi, depositi e stazioni della metro. E come se riscoprisse la memoria degli affreschi antichi, la città ha cominciato a custodire queste opere che raccontano storie e passioni, come quella per il "pupone" Francesco Totti. Per i turisti disposti ad avventurarsi lontano dal centro, ci sono anche i tour, come quelli organizzati da MuriLab, guide che attraverso la street art ripercorrono genesi e storia di interi quartieri. La prima esperienza organica di riqualificazione urbana attraverso l’arte di strada è MuRo, museo diffuso promosso nel 2010 da David Daviu Vecchiato, artista romano noto anche all’estero, che dal Quadraro, coinvolgendo vari pittori, ha irradiato altri quartieri. «È fondamentale che ogni progetto sia community-specific - spiega - che rispetti non solo lo spirito dei luoghi, ma anche quello della comunità, ne recepisca sentimenti e storie. Non siamo in un museo, ma in strada e l’opera farà parte della quotidianità». Marchio mantenuto in altri progetti come GRAArt, diciassette murales attorno al raccordo, finanziati da Anas e realizzati da artisti di tutto il mondo. E nel 2015 con POPSTAIRS, 5 grandi scalinate anamorfiche dedicate ai divi del cinema, come Ingrid Bergman.
I mecenati
Il concetto ha fatto scuola e oggi la street art attira anche il mecenatismo. Dalle micro opere al gigantismo creativo, ovunque fioriscono interventi di rigenerazione urbana realizzati grazie a bandi di finanziamento pubblico, come l’Ecomuseo Casilino, o su commissione di privati, dai galleristi ai locali della movida, fino a grandi aziende che declinano così la loro responsabilità sociale d’impresa.
In via di Tor Marancia c’è Big City Life, museo condominiale realizzato nel 2015 dalla galleria 999Contemporary e inserito alla Biennale di Venezia. Artisti internazionali hanno dipinto 22 enormi murales sui palazzi del lotto 1. «Oggi questa esperienza va rivista - racconta Cristina Giuliani, 55 anni, consulente informatica - con altri abitanti abbiamo fondato il comitato TormarArte. Cerchiamo un confronto con i promotori per recuperare lo spirito partecipativo iniziale». Intanto almeno 20 mila persone l’anno visitano il comprensorio. E anche qui ogni opera ha un legame con il luogo. L’americano Andrew Pisacane ha dipinto sotto un cielo terso un’arancia e un busto dello Stadio dei Marmi, a ricordare come queste case siano figlie della trasformazione urbanistica che in epoca mussoliniana sospinse qui gli abitanti di quelle abbattute per fare via della Conciliazione.
La nuova frontiera dell’arte di strada passa per l’ecologia. Il più famoso è Hunting Pollution, ecomurales fra i più grandi d’Europa, realizzato nel 2018 da Federico Massa, in arte Iena Cruz, nel quartiere Ostiense. Un airone insidiato da tentacoli neri che salgono da un barile di petrolio, occupa l’intero angolo di un palazzo di 7 piani. Fatto con pittura catalitica hi-tech, trasforma lo smog che si deposita sulla sua superficie in sali inerti che la pioggia lava via. «L’opera neutralizza le emissioni di circa 90 auto al giorno», dice la sociologa Maura Crudeli, project manager di Yourban 2030, che ha sostenuto il progetto.
Nel quartiere San Paolo, poco distante, dipinti con la stessa tecnica innovativa sui 250 mq di un istituto tecnico statale, giganteggiano una donna e un uomo che si contemplano, opera di rigenerazione urbana a tema identità di genere dell’artista olandese JDL. Mentre nel quartiere Garbatella, avamposto storico della street art, ultimo arrivato poche settimane fa è il murales dell’italo-russa Maria Ginzburg Urban Fragments, realizzato davanti all’ingresso della metro B, visione astratta e colorata dei caratteristici lotti popolari del quartiere.
Un progetto legato all’agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile, come anche il festival Street Art of Rights, finanziato dal Comune, che da Settecamini al Laurentino dissemina altri murales. Al Tuscolano, sulla facciata della scuola Rita Levi Montalcini, l’artista Ria Lussi ha disegnato mostri giullari dell’ignoranza, trittico buffo contro l’analfabetismo ispirato a Giordano Bruno.
Le collisioni urbane
L’arte urbana di ultima generazione parla anche di una città sospesa fra centro e periferia, in perenne collisione fra antico e presente. In via del Mandrione, all’incrocio con la Casilina, da qualche giorno svetta sull’orizzonte piatto "Il suono del tempo", murale del modenese Luca Zamoc promosso dal circolo di musica live 30Formiche e finanziato dalla Regione. Un busto mutilo in marmo ispirato al Torso del Belvedere, celeberrima scultura ellenistica conservata nei Musei Vaticani, e alla metafisica di De Chirico, irrompe colorato fra schegge di specchi, sulla facciata da 170mq di una palazzina incastonata fra le rotaie della ferrovia. Racconta Zamoc: «I murales sono musei temporanei, la loro presenza è un nuovo punto di riferimento per la città».
Ma c’è anche chi non rinuncia allo spirito militante e politico delle origini, continuando a usare i muri per abbracciare l’attualità. Alla vigilia del conflitto russo-ucraino, vicino alle ambasciate dei due Paesi, nel rione Castro Pretorio e ai Parioli, sono spuntate le opere gemelle di poster art intitolate Pace e firmate dall’artista Laika. I cannoni di due carri armati si intrecciano a formare il simbolo della pace. Sopra volteggia una colomba, la Paloma de la Paz di Picasso, che li ricopre di guano, simbolo di sdegno verso il conflitto in cui è precipitata l’Europa.