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 2022  maggio 29 Domenica calendario

Biografia di Mario Martone racconta da lui stesso

Il suo liquido amniotico “era stare sdraiato nella vecchia cameretta di mio padre e mio zio e ascoltare la Napoli dei Quartieri Spagnoli”. Lì immaginava, sognava, immagazzinava emozioni, suoni, odori, magari future inquadrature. Un’orchestra di vita in stile pasoliniano (“Con una poesia di Pasolini ho aperto il mio ultimo film”).

Mario Martone è un ex enfant prodige che non ha deluso le attese: a 17 anni la sua prima regia teatrale, poi un continuo, un moto perenne (“Sono felice quando lavoro”) e articolato con vette teatrali, premi al cinema e la scoperta di Elena Ferrante durante un viaggio destinazione New York (“Con lei conservo una bella corrispondenza”).

Quest’anno è tornato in concorso a Cannes con Nostalgia, protagonista Pierfrancesco Favino. “Dalla Croisette mancavo da 27 anni: mi ha colpito l’applauso quando sono entrato in sala; (pausa) non me lo sarei mai aspettato, mi ha un po’ commosso, oramai credevo di essere fuori dai loro radar”.

È un maestro.

Non mi vivo così.

A che servono i premi?

All’inizio del lavoro possono rappresentare un beneficio concreto; aver vinto a Venezia con il mio primo film è stato importante, anche perché avevo poco più di trent’anni.

Lei trent’anni fa?

Uno che aveva alle spalle già una lunga esperienza teatrale; la mia prima regia l’ho firmata a 17 anni quando andavo al liceo e ancora oggi lavoro con alcuni dei miei compagni dell’epoca.

Chi?

Le luci del Rigoletto che sto allestendo alla Scala, le sta studiando Pasquale Mari, mio compagno di classe (pausa). La fine dei Settanta a Napoli sono stati anni speciali.

Di costruzione…

Penso a Toni Servillo: siamo nati lo stesso anno e con lui abbiamo costruito una storia parallela, con due gruppi separati, io a Napoli, lui a Caserta. Gruppi che poi si sono uniti.

Servillo a vent’anni.

(Ride) Va immaginato con una capa tanta di capelli, una testa enorme simile a Lucio Battisti; basta questa immagine per proiettarci in una visione diversa rispetto all’oggi.

Insomma, a 17 anni…

C’è stata subito una certa attenzione rispetto al nostro lavoro, pure a livello internazionale, tanto che a 22 anni ho portato il mio spettacolo, Tango glaciale, a New York. Alla prima mi sono trovato di fronte ad Andy Warhol e Martin Scorsese.

Due qualunque.

Warhol lo avevo già conosciuto a Napoli grazie a Lucio Amelio e alla sua attività di gallerista; è per lui se alcuni di noi sono entrati in contatto con certi ambienti culturali.

E Scorsese?

Per me era un mito ed è stato fantastico scoprire un uomo profondamente curioso.

Lei con l’inglese…

Malissimo e va malissimo ancora oggi. Eppure grazie all’Opera ho lavorato in tutto il mondo.

Come fa?

Mi arrangio.

Maccheronico.

Un giorno un musicista americano mi ha cambiato prospettiva e umore: “Con il tuo inglese vai dritto alla questione”. Ecco, in fondo c’era una verità: con pochi vocaboli a disposizione cerco solo il cuore della questione.

Con il suo compagno di classe, cosa sognavate a 17 anni?

Sicuramente il cinema.

Però eravate impegnati sul teatro.

Il nostro era un teatro visivo, con l’aiuto di filmati, di musica, performance, quindi realizzavo il mio cinema sul palcoscenico; quando sono arrivato a girare il primo film avevo in archivio un percorso lungo, ed è stato importante per non venire schiacciati.

E non montarsi la testa.

La questione è proprio di prendere la misura; nel nostro lavoro l’aspetto più complicato è la tenuta.

Cioè?

Un film o un buono spettacolo lo puoi indovinare, poi conta il percorso artistico, la pennellata di un artista.

Peppe Lanzetta ha dichiarato: “Dopo il successo de L’amore molestosono andato in crisi”.

Però Peppe ha continuato a scrivere libri molto belli; (pausa) ognuno ha le proprie speranze e delusioni, ma lui resta una delle anime più interessanti e illuminanti.

Tommaso Ragno, scovato da lei, ringrazia di non essere arrivato troppo presto al successo.

L’ho scoperto durante un corso a Milano: lui giovanissimo, io appena 28enne. Alla fine ha preparato un saggio sull’Orestea e appena l’ho visto ho capito di avere davanti un talento straordinario; Tommaso è un ottimo esempio del concetto di “tenuta”: ha lavorato in teatro con i più grandi registi, compreso Servillo, Ronconi e Cecchi, poi sono arrivati il cinema e la serie tv. Ecco, lui personifica cosa vuol dire essere un attore non improvvisato.

Il successo qui è relativo.

Il cinema è simile alla Formula 1: puoi essere un pilota straordinario, ma se non hai la macchina giusta non vinci.

A teatro…

È diverso; (pausa) da ragazzo andai a vedere Salvo Randone, e per noi i suoi spettacoli erano vecchissimi, non ci interessavano minimamente, ma percepivamo la sua forza sul palco; al cinema no: Robert De Niro lo amiamo, ma ha pure trovato una “macchina” come Taxi driver.

Pochi registi hanno come lei una carriera importante sia in teatro che al cinema.

C’è anche Roberto Andò: con lui siamo amici e spesso ci confrontiamo; in passato c’è stato Luchino Visconti.

Appunto, sessant’anni fa. C’è una dicotomia.

Sempre meno, oramai l’attore è tale a prescindere dal contesto. E una questione del genere sopravvive solo in Italia, in Inghilterra non è contemplata; il problema è un altro: l’imbuto è stretto, è difficile trovare ruoli e ci vuole fortuna.

Lei varia nelle scelte.

Ci sono attori che sogno da anni, da decenni: artisti che stimo tantissimo.

Un esempio.

Meglio di no; (cambia idea e sorride) Favino era nella lista; l’ho sempre amato e ricordo ancora la prima volta in cui l’ho visto nel film di Amelio Le chiavi di casa: era presente in una sola scena.

E in Nostalgia dove l’ha stupita?

Ho sempre lavorato con grandi attori come Carlo Cecchi, Anna Bonaiuto, Elio Germano e Toni Servillo; anche in Pierfrancesco ho ritrovato la medesima capacità di approfondire, di prepararsi, di scandagliare. Poi aggiungo il piano umano ed è la parte paradossalmente meno scontata; (pausa) è un uomo speciale.

Vanessa Scalera ha raccontato al Fatto: “Favino mi dava le battute anche quando era fuori scena”.

Rientra nelle qualità di un grande attore: chi è grande lo resta sempre, pure quando non c’è la telecamera a inquadrarlo, perché ha preso possesso del suo ruolo.

Lei è alla De Sica? mostra la parte a ogni attore?

No, non so recitare, non sono in grado e non potrei mai suggerire i giusti toni; il mio metodo è un altro: creo un campo ben definito poi mi affido alla capacità, alla creatività dell’artista.

L’Hollywood Reporter ha definito la sua regia “sicura”. Tradotto?

Che gli elementi sulla scena sono sotto controllo? Forse è così.

Scrive le sceneggiature con sua moglie, Ippolita Di Majo.

È una delle mie grandi fortune: ci sediamo al tavolo e giochiamo, è un’estensione del nostro rapporto.

Nelle controversie chi vince?

Capita di litigare, però mi fido di lei e anche quando resisto una parte di me l’ascolta.

Cambia il suo modo di lavorare quando è per il teatro o per il cinema?

Muta a secondo delle circostanze; di solito organizzo qualche prova a tavolino, così pure in Nostalgia, ma con Favino e Ragno ho impedito che si vedessero prima: volevo intatta la tensione dell’incontro, compresa l’incognita della reciproca prova attoriale.

Molti suoi colleghi inquadrano il ruolo del regista come quello di padre o psicologo.

Adesso si viene chiamati maestri, io mi scoccio un po’, e non mi seduce neanche l’attitudine paterna; (cambia tono) amo Pasolini e mi ha sempre coinvolto il suo approccio da maestro- fratello; con lui senti di poterci litigare, è uno che non cala dall’alto. Questo mi interessa.

Però è il regista che comanda.

Come spiegava Truffaut, dobbiamo rispondere a mille domande.

C’è una leadership.

Il cinema non è democratico.

A scuola era rappresentante d’istituto?

No, pensavo al teatro.

E alla politica?

Ero nei collettivi; erano pur sempre gli anni Settanta.

I Settanta a Napoli.

Periodo mitologico, un enorme ribollire di vita sociale, politica, artistica: i Bambini Proletari, il Movimento dei Disoccupati, le canzoni di Pino Daniele e la galleria di Amelio.

Troisi e La Smorfia.

(Cambia tono) Del mio grande amore per Massimo vorrei parlare un’altra volta.

Argomento delicato.

(Torna a prima) Volevo girare un film in stile Buena Vista Social Club, con tutti i membri di Napoli Centrale: ne avevo parlato con Pino, poi è morto e ho rinunciato.

Ha scoperto Elena Ferrante.

Dopo Morte di un matematico napoletano mi chiama Fabrizia Ramondino: “Leggilo, secondo me ti piace: è un giallo”. Parto per New York e passo l’intero viaggio con il libro tra le mani. A quel punto scrivo alla Ferrante, allora non c’erano e-mail, e iniziamo una corrispondenza.

La conserva ancora…

Con tanto di firma autografa.

L’ha conosciuta?

Mai. E so che le indagini per scoprire chi è sono andate molto avanti; questo gesto di non apparire è parte integrante della sua opera, e in questo Elena Ferrante è un’artista molto contemporanea. Mi piace.

Quando si sente se stesso?

Nel lavoro, sul set a o teatro: lì sto bene.

Per Enrico Fierro il rumore di Napoli era la voce dei venditori.

L’amore molesto inizia con un ambulante che urla; (abbassa la voce) i miei nonni vivevano ai Quartieri Spagnoli: quando da bambino andavo da loro mi sdraiavo nella vecchia cameretta di mio padre e mio zio, aprivo le finestre e ascoltavo le voci. Non mi affacciavo. Mi bastava quell’impasto di suoni, di donne che si chiamavano da un vicolo all’altro, di venditori, di parenti, di realtà differenti. Per me era come tornare in un liquido amniotico.

Esclusi i suoi, qual è il film che inquadra meglio quel clima?

Quelli di Eduardo De Filippo sono un po’ sottovalutati, ma in Viaggio in Italia di Rossellini sento quel richiamo.

Lei vive a Roma.

Ci sono arrivato per ragioni di vita: nei Novanta ero innamorato di Anna Bonaiuto e siamo stati insieme per qualche anno; non solo: in una cena a Roma, su dieci presenti, al massimo trovi due romani; a Napoli dieci su dieci sono napoletani.

E…

A me l’osmosi fa bene.

Ha mantenuto intatti i suoi sogni da ragazzo?

Tutta la mia vita si è svolta esattamente come la sognavo da quando avevo 17 anni. Ed è una grande fortuna.

Lei chi è?

Questo non lo so. Ancora non mi conosco davvero.

Un maestro.

Grazie.