la Repubblica, 29 maggio 2022
Cancel culture, giù le mani da Dostoevskij
Non ha pace Dostoevskij, strattonato come se fosse sul campo di battaglia. Non c’è romanziere russo che più di lui venga tirato per la giacca. Simbolo di volta in volta degli abissi del Male, dei demoni dell’inconscio, realista o mistico, visionario o profeta. Dici Dostoevskij e viene in mente la Russia. E allora non c’è da stupirsi se la geopolitica culturale combattuta a colpi di cancel culture passa sulle sue spoglie e sulla sua opera. Né meraviglia che in questi ultimi mesi sia stato, tra i narratori russi, il vero protagonista nelle librerie, con Delitto e castigo al vertice delle richieste.
Eppure fioccano gli anatemi. Non leggetelo! Che sia bandito! Nei tempi cupi del conflitto in Ucraina, c’è chi crede che Dostoevskij sia per la cultura russa come il gas per le finanze e che per punire Putin dell’aggressione all’Ucraina sarebbe giusto farne a meno. Roberto Valle, professore di Storia dell’Europa orientale all’università Sapienza di Roma e studioso del pensiero politico russo ha dedicato al tema due convegni, uno nella sua facoltà, l’altro nell’ateneo di Verona, partendo da una domanda: «Si può escludere Dostoevskij dall’Europa? ». Valle ha recentemente pubblicato il saggio Lo spleen di Pietroburgo. Dostoevskij e la doppia identità russa (Rubbettino) interessante esplorazione nella complessità dell’anima di un Paese ricco di contraddizioni.
L’affaire Dostoevskij va gonfiandosi come se la diplomazia culturale tra Russia e Occidente potesse davvero dipendere dagli ignari lettori. Il Nori-gate, scatenato dal tentativo poi rientrato dell’università Bicocca di impedire allo scrittore Paolo Nori di tenere una lezione sull’autore deiDemoni , ha sconfinato fino a diventare argomento di propaganda putiniana. Di recente, racconta il professor Valle, è stata lanciata a Mosca e in altre città una campagna per denunciare la persecuzione della cultura russa in Occidente.
«Ovunque sono apparsi manifesti contro la cancel culture. In uno è scritto che mentre l’Occidente rifiuta di tenere conferenze su Dostoevskij, la Russia manifesta il proprio amore per gli eroi di Shakespeare e di Mark Twain». Lo slogan è: «Kul’turu ne otmenit », «La cultura non si cancella ». Certo Putin in versione garantista che si finge indignato per la cancel culture e assolda Dostoevksij come pietra dello scandalo se non fosse tragico farebbe ridere assai. L’ultima mossa del capo del Cremlino è stata ringraziare qualche giorno fa lo street artist Jorit per aver realizzato un enorme murale con il ritratto di Dostoevskij sulla facciata dell’istituto tecnico industriale Righi di Napoli, in risposta alla censura della Bicocca. «La cronaca recente è ricca di esempi. Lo scorso 3 aprile Aleksandar Vu?i?, presidente della Serbia, nel suo primo discorso programmatico appena rieletto ha affermato di voler mantenere relazioni amichevoli con la Russia, sia non aderendo alla Nato, sia non escludendo Dostoevskij». Dunque né con la Nato né con Dostoevskij è il nuovo capitolo di una contesa ridicola che non risparmia neppure gli scrittori del passato. «In realtà non è una novità. Dostoevskij è stato spesso usato in questo modo, ora comesimbolo dell’arbitrarietà russa rispetto alla razionalità europea, ora come modello guerriero».
Roberto Valle ci aiuta a ricostruire la follia delle appropriazioni culturali di ieri e di oggi, a cominciare da Zachar Prilepin, tra i più noti scrittori contemporanei, strabordante e controverso, amante delle biblioteche e delle mimetiche, combattente in Cecenia e nel Donbass. In Plotone. Ufficiali e milizie della letteratura russa, «Prilepin ha arruolato nell’operazione militare Dostoevskij, Puškin e Lermontov, inserendoli in un pantheon guerriero, come se la letteratura russa fosse una sorta di servizio militare permanente. Un plotone letterario che serviva all’impero per accrescere la propria sfera di influenza al fine di contrastare l’espansione illimitata dell’Occidente». Per Prilepin gli scrittori dell’età dell’oro – Dostoevskij in testa nonostante leggesse Hoffmann e Balzac, Hugo e Goethe – sono esteti armati in difesa della patria. Anche in epoca sovietica per Dostoevskij non c’era pace: «Per Gor’kij appariva come un condensato di irrazionalismo e nostalgia per la Russia asiatica, irriconciliabile nemica del progresso. Al punto che il karamazovismo, diventato un simbolo di dispotismo e nichilismo, spinse Gor’kij a lanciare un appello per creare un comitato di salute pubblica per estirpare il contagio dostoevskista».
Forse la citazione più bella in questo corto circuito tra letteratura e politica, romanzi e propaganda, si deve però a Kissinger che in un’intervista del 2018 sulFinancial Times ha affermato che per comprendere Putin, è necessario aver letto Delitto e castigo, L’idiota e I fratelli Karamazov, consegnandoci un Putin modello Raskol’nikov. «Ma lo spettro di Dostoevskij ha fatto paura soprattutto agli europei, quasi fosse una minaccia che ne metteva a rischio la razionalità, il precursore di un declino che atterriva l’Occidente». Nell’elenco di Valle tra i detrattori compare incredibilmente Herman Hesse che, pur essendo esperto di pellegrinaggi in Oriente, dopo la prima guerra mondiale trasforma Dostoevskij in un temibile sciamano, «una sorta di lupo della steppa che guidava l’orda distruttrice che si era abbattuta sull’Europa» (il riferimento è nel saggio I fratelli Karamazov ovvero il tramonto dell’Europa).
In seguito la Guerra Fredda e la contrapposizione tra blocchi si combatte anche nel nome di Dostoevskij. Nel 1985 Milan Kundera, in un articolo pubblicato suThe New York Times Book Review esclude Dostoevskij dall’idea d’Europa e, nella ricognizione di Valle, lo rigetta nei «foschi abissi» che «si contrappongono al lucido razionalismo e al riso liberatore di Diderot». Un’idea che fa di Dostoevskij l’incarnazione dell’eterna notte russa, agli antipodi della cultura diurna e illuminista europea. Lo difenderà Iosif Brodskij arrabbiandosi con Kundera e con chi cercava di irreggimentare Demoni e Karamazov a destra o a sinistra.
Che sia stato nichilista o profondamente morale, apocalittico o umano più che umano, mistico o semplicemente critico del progresso, Dostoevskij, conclude Valle, dovrebbe essere liberato e restituito alle sue contraddizioni: «Isolarne degli aspetti per fini politici significa tradirne l’irriducibile polifonia».