la Repubblica, 29 maggio 2022
Alla festa dei buddisti a Torino
L’onda delle campane tibetane si alza nel cortile del vecchio cimitero di San Pietro in Vincoli, “il cimitero degli impiccati”, e sale verso nuvole spumose. Quattro monaci accovacciati disegnano il loro mandàla dell’impermanenza, un fiore della pace fatto di sabbia (il fiore, e purtroppo anche la pace) che oggi sarà in parte distribuito ai fedeli e in parte disciolto nelle acque del Po, perché tutto esiste e niente dura. E quante mani giunte, quanti piccoli inchini gentili, quanti abbracci, quanti sorrisi tra le persone che parlano sottovoce. Quanta quiete, sotto i porticati dove si conducevano le salme dei giustiziati al “Rondò della Forca”, oggi un inestricabile nodo di traffico urbano ma ieri palcoscenico del boia. In questo luogo di antico dolore e speranza senza tempo si svolge per due giorni il Vesak, la festività più importante dei buddisti che torna in presenza dopo il morbo. Ed eccoli qui, corpo e anima, la seconda non più del primo, il primo impensabile senzala seconda. Sono venuti i fedeli e i curiosi, i praticanti e gli occasionali, per sentire parole e scrutare gesti. In Italia i buddisti sono circa 250 mila, e con la firma nell’otto per mille sovvenzionano progetti sociali, culturali e umanitari dalla pandemia alla guerra. Proprio il fuoco nei cieli e nella carne della povera gente è il tema di quest’anno, ma come conciliare giustizia e non violenza, legittima difesa e pacifismo? «La guerra non va vinta e la pace va ottenuta. Non con le armi, ma cercando senza posa il punto di accordo come tra fratelli in lite». Il lama, maestro Michel Rinpoche, non nega il grande rischio della contraddizione: «Siamo contro la violenza sempre, ma anche contro il sopruso. Il buddista ha le braccia aperte e cerca amore, rispetto, gratitudine, saggezza e compassione, senza farsi manipolare dallo sporco gioco dei buoni e dei cattivi: perché tutti siamo bisognosi». È stato anche firmato un manifesto comune contro l’uso delle armi.
Passeggiamo nel cimitero con lentezza tra oggetti e concetti, altari e sabbia, tuniche e teste rapate, opuscoli e murales, musica e sandali, erba spelacchiata e solleone. Ai fili hanno appeso quadrati di carta colorata, da lontano sembrano bandierine e invece sono mantra, preghiere consegnate al vento se solo ne venisse un po’. Il programma del Vesak ribadisce i temi dell’agenda Ubi, l’Unione Buddisti Italiani, e cioè cura, educazione, cultura, ecologia e sociale. L’ombra della grande statua del Budda ci sfiora. «Ma attenti a non considerarci dei saggi sul tappeto volante, sempre immersi nella meditazione. Non è questa la nostra vita». Stefano Bettera, il portavoce, racconta un impegno concreto, molte nuove vocazioni e la scelta di far celebrare il rito a quattro monache tibetane: «Lo consideriamo un segnale forte verso il mondo femminile».
Il buddismo è la terza confessione italiana dopo quelle di cattolici e valdesi, però continua ad essere considerato una via di mezzo tra lezione di yoga ed esercizio zen. «Tanti ragazzi hanno voluto saperne di più, visitando il nostro spazio al Salone del libro. E si sono resi conto che il buddismo non sta sulla Luna ma è qui, nella vita di ogni giorno». Francesca Arengi è l’editore di Ubiliber e ci mostra i primi nove titoli di una casa editrice nata a Padova appena un anno fa. Scorriamo velocemente: “Accogliere l’inaccettabile”, “Il viaggio interiore”, “Una camionata di merda”. Prego? «L’ha scritto il monaco inglese Ajahn Brahm, forse il titolo è un po’ forte ma altro non è che una riflessione su come affrontare le difficoltà». Ci solo le poesie tradotte da Chandra Candiani e un volume (ma questo è di un altro editore) sulla preparazione mentale alla morte, il colossale tabù dell’Occidente, la nostra rimozione forzata senza carro attrezzi.
Le ore trascorrono tra incontri, visite agli stand, pranzi offerti ai monaci, spettacolo di tamburi giapponesi (“l’alta voce che arriva oltre le nuvole”) e lettura del messaggio inviato dal presidente Mattarella: «In un frangente drammatico per l’Europa, la commemorazione di questa importante festività ci induce a un momento di riflessione comune, all’insegna dello spirito di solidarietà che da sempre ne contraddistingue la celebrazione. I miei più sinceri auguri per un Vesak foriero di pace e felicità».
E poi, certo, si va anche a sensazioni, e quella che si avverte qui è di grande forza tranquilla. Non c’è bisogno di andare fino in Nepal, bastano e avanzano Porta Palazzo e Borgo Dora, i luoghi della Torino più multietnica che diventano laboratorio di contemporaneità. E si sta sereni almeno fino a sera, si sta bene ascoltando il silenzio. Come immergersi in una vasca piena di schiuma, o in una canzone di Battiato.