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 2022  maggio 28 Sabato calendario

La storia del caffè secondo Augustine Sedgewick

Il caffè, fulcro delle nostre relazioni sociali e una delle parole più diffuse al mondo. Augustine Sedgewick, storico americano (Harvard, City University), indagatore di professione delle relazioni tra cibo, lavoro e capitalismo, è andato a vedere cosa c’è dietro una tazzina della bevanda che unisce il mondo e lo racconta alla maniera divulgativa degli storici di scuola anglosassone, quindi parlando di uomini, imprenditori spietati, operai laboriosi, chimici di laboratorio e guerriglieri. Lo fa in Coffeeland. Storia di un impero che domina il mondo (Einaudi), che ha vinto il premio Cherasco e che vi farà passare la voglia di bere caffè, per ciò che significa in termini di sfruttamento e disuguaglianze.
Il caffè è originario dell’Etiopia, il primo caffè aprì nel 1554 in Siria, ma noi italiani siamo profondamente convinti che il caffè appartenga alla nostra cultura, che sia addirittura uno dei simboli della nostra identità. Come mai?
«L’Italia ha avuto un ruolo unico e affascinante. Nel XVI secolo, i mercanti di Venezia avevano stretti legami con l’Impero Ottomano e furono tra i primi europei a importare caffè. Nei secoli XVII e XVIII, i grandi caffè di Venezia e Firenze erano al centro della vita intellettuale europea. Ad esempio, Goethe – che ha contribuito alla scoperta della caffeina - da giovane trascorse molti giorni al Caffè Florian, ispirando generazioni di artisti che ne seguirono le orme nei propri pellegrinaggi artistici. La macchina per caffè espresso a vapore, inventato a cavallo del Novecento a Torino, è un’innovazione italiana che ha conquistato il mondo».
Perché il nome Coffeeland?
«Coffeeland era il soprannome di due luoghi in cui è ambientato il libro: El Salvador, che divenne nella prima metà del secolo scorso una delle monoculture più intensive del mondo; e gli Stati Uniti, che nello stesso periodo sono diventati il principale paese consumatore di caffè. Raccontare la storia di come questi due luoghi molto diversi sono diventati entrambi Coffeeland racconta a sua volta una storia più grande su come la globalizzazione connette e divide il mondo allo stesso tempo. In questo senso, Coffeeland è ovunque».
Il caffè è arrivato a Londra prima del tè, ma il tè ha preso il sopravvento. Come mai?
«In Inghilterra il caffè era il tè prima del tè. Era così popolare nell’Inghilterra del diciassettesimo secolo che molte persone si preoccupavano degli effetti del consumo eccessivo. Eppure, era anche relativamente costoso, perché il commercio del caffè era quasi monopolizzato dai mercanti arabi. Le grandi società commerciali inglesi riuscirono a penetrare con maggior successo nel commercio del tè e intorno al 1700 il tè inondò il mercato inglese».
La bevanda nella vecchia Europa era vista negativamente e circolavano molte storie oscure al riguardo. Era considerato una droga pericolosa…
«Perché arrivava dall’Impero Ottomano, era strettamente associato all’Islam. Per molti era oggetto di sospetto e persino di paura. Gli europei erano confusi su cosa fosse, questo fango nero e polveroso servito fumante in una tazza. Confusi sui rituali della sua preparazione e consumo, alcuni associati al culto. Confusi sul motivo per cui questa bevanda dal sapore sgradevole fosse bevuta così avidamente e quali fossero i suoi effetti, forse illeciti o addirittura diabolici. Secondo la leggenda, fu papa Clemente VIII che intorno al 1600 definì il caffè ‘bevanda di Satana’ e a quanto pare credeva che il caffè fosse così meraviglioso e benefico che non era giusto che solo le altre religioni ne ottenessero i benefici».
Come ha fatto una tazza di caffè a connettere il mondo e diventare la dipendenza quotidiana di milioni di persone?
«Il caffè e il suo ingrediente attivo, la caffeina, vengono consumati ogni giorno da miliardi di persone in tutto il mondo, forse l’80 per cento degli adulti in totale e, almeno in Italia e negli Stati Uniti, probabilmente più del 90 per cento. Il caffè è diventato una specie di farmaco miracoloso per aiutarci a sopravvivere alle richieste della vita sotto il capitalismo».
E la pausa caffè?
«È nata come tempo di riposo che veniva conteggiato come orario di lavoro retribuito, autorizzato e in molti casi incoraggiato dai datori di lavoro, che arrivavano a vedere il caffè come una soluzione conveniente al problema della fatica dei lavoratori».
Coffeeland si apre con il rapimento di Jamie Hill nel 1979. Perché hai deciso di raccontare la storia dei fratelli Hill e perché è così importante?
«La storia della famiglia Hill è una storia su come funziona la globalizzazione. Il personaggio centrale del libro, James Hill, è cresciuto nei bassifondi della Manchester industriale, a metà del diciannovesimo secolo. Arrivato da giovane a El Salvador ha importato gli stessi concetti. Ha progettato piantagioni che funzionavano come fabbriche, contribuendo a trasformare il Salvador nella monocultura probabilmente più intensiva della storia moderna, un paese dominato dalla produzione di caffè, dalle famiglie produttrici di caffè e dall’economia globale del caffè, che è anche una delle più diseguali e violente della storia moderna. E attraverso la storia della famiglia Hill, è possibile vedere questo processo e le sue conseguenze svolgersi con grandi conflitti».
Il caffè nel suo libro è il simbolo delle grandi disuguaglianze che dominano il mondo: come ha contribuito a dividere il mondo tra grande ricchezza e grave povertà?
«Il caffè ci mostra qualcosa di importante su come funziona questo processo, soprattutto perché è un bene di eccezionale valore la cui fornitura è quasi interamente monopolizzata da paesi relativamente poveri. Perché questi paesi dovrebbero rimanere poveri? Non è necessariamente perché le persone desiderano prosperare a spese degli altri. Piuttosto perché noi esseri umani abbiamo un concetto relativamente limitato di cosa significhi essere collegati l’uno l’altro economicamente».
Perché scrivi che il caffè equo e solidale non è una soluzione?
«Il caffè è stato il primo prodotto Fairtrade disponibile su scala di largo consumo ed è diventato il prodotto etico per eccellenza. Ma finora il commercio equo non ha raggiunto questo obiettivo, in parte perché i suoi concetti sono legati ai prezzi e i prezzi equi sono stati per lo più stabiliti da persone in paesi relativamente ricchi per persone che vivono in paesi relativamente poveri. Anche così, il moderno mercato del caffè contiene una possibilità molto interessante e apparentemente nuova. I caffè del commercio diretto consentono ai bevitori di caffè di sapere con dettagli senza precedenti da dove viene il loro caffè e come arriva.
Questa conoscenza potrebbe essere un importante punto di partenza per un nuovo concetto di connessione globale che spiega, anzi celebra, la profonda interdipendenza che caratterizza la vita nel mondo moderno. E questo a sua volta potrebbe essere la base per un’idea molto più ricca di ciò che dobbiamo gli uni agli altri e di come prenderci cura gli uni degli altri».