la Repubblica, 28 maggio 2022
Biografia di Sadio Mané
Il calciatore più forte d’Africa, appena più forte del suo compagno Salah perché a febbraio l’ha battuto nella finale continentale, andrà avanti con questa sua vita finalmente in discesa, qualunque cosa accada, «perché vincere la Champions non è più difficile che diventare calciatore professionista partendo da Bambali». Ce lo disse nel 2019, alla vigilia della finale contro il Tottenham, e l’ha ripetuto nei giorni che precedono questa, che tra l’altro potrebbe essere la sua ultima partita con la maglia del Liverpool: «Lo saprete dopo la finale», ha risposto a chi gli ha chiesto se davvero andrà al Bayern Monaco (che offre 30 milioni, facendo leva sul contratto in scadenza tra un anno) o se resterà nella città e nella squadra che lo hanno consacrato e con cui è alla terza finale: nel 2019 vinse ma nel 2018 perse in quella notte di Kiev che Salah sta fremendo per vendicare. «Però penso che vendetta sia una parola troppo grande da usare per una partita di calcio. Il Real vinse quella Champions perché giocò meglio di noi, quella coppa se la meritò. Quella di oggi è un’altra storia» ha dichiarato alPais, quotidiano spagnolo.
Tra Liverpool e Bambali c’è il mondo. Ma c’è un mondo persino tra Bambali eDakar, perché Mané viene da un villaggio sul fiume Casamance che dista 400 km dalla capitale, quindi lontanissimo da ogni tipo di speranza. Però Mané ha coperto le distanze, forse perché ha vissuto come ha giocato: «In campo, il mio lavoro è muovermi». È questo non stare mai fermo che Klopp apprezza, che ha sfruttato, a cui ha incardinato il gioco tambureggiante del Liverpool: certi ritmi rock Mané li tiene dall’infanzia, in tutta evidenza. «E adesso», dice l’alle- natore, «Sadio è al top della sua vita di calciatore. Lo adoro, adoro vederlo allenarsi. Andrà al Bayern? Io e lui siamo focalizzati sulla finale, non è la prima volta che ci sono voci di questo genere, ma non può importarmene di meno. In ogni caso, questo è il momento sbagliato per parlarne ». Ma infatti: se ne parlerà da domani, perché oggi Mané deve fare il suo mestiere di calciatore in movimento, di campione che stantuffa anche per gli altri, «perché se mi muovo, per i compagni sarà più facile passarmi la palla». Da gennaio, però, il suo ruolo è stato insidiato da Luis Diaz, il colombiano magro che spesso si è installato sulla fascia sinistra spingendo Mané, che certo centravanti di natura non è, al centro. Lui dice che non è un sacrificio, ma forse una piccola forzatura sì. Succederà di nuovo stasera, o dall’inizio oppure a partita in corso, come nella semifinale di Vila- real, quando l’ingresso di Diaz e lo spostamento di Mané furono dirimenti. Diaz viene da un angolo sperduto della Colombia e durante l’infanzia soffrì di malnutrizione: nelle foto delle sue prime partite “vere” è sottile da far paura. Mané dice che da piccolo aveva sempre fame: ora che gli è passata, si impegna perché a Bambali non la soffra più nessuno, e con i soldi che manda hanno costruito un ospedale. Oggi è il più accreditato per contendere a Benzema il Pallone d’Oro. «È triste che dopo Weah più nessuno lo abbia vinto». Difficilmente la finale sposterà un equilibrio che il francese ha sedimentato con nove mesi sensazionali, ma dopo tutto al senegalese importa poco, «perché non cambio il Pallone d’Oro con la Champions League, come non lo avrei cambiato con la Coppa d’Africa. Io gioco perché adoro giocare, lo farei di continuo. E vincendo dimostro di amare il football». L’amore è ricambiato, ampiamente.