la Repubblica, 28 maggio 2022
Generali, Caltagirone esce dal consiglio
Sara Bennewitz, la Repubblica
Nuovo colpo di scena a Trieste. Francesco Gaetano Caltagirone, secondo azionista di Generali con il 9,95% e promotore di una lista alternativa a quella del cda, si dimette per la seconda volta dal consiglio del Leone.
Dato il clima che si è creato con il nuovo corso presieduto da Andrea Sironi, e dopo che i tre esponenti della lista Caltagirone - oltre a lui, Marina Brogi e Flavio Cattaneo hanno deciso di non partecipare ai comitati endoconsiliari, l’imprenditore ha preferito fare un passo indietro dal cda, per ritagliarsi un ruolo di azionista. Caltagirone, che sul Leone ha investito 3 miliardi di euro, ha fatto sapere che non cambia la sua visione strategica. L’imprenditore prende però le distanze da una governance che non condivide, e che a suo giudizio sarebbe partita con il piede sbagliato.
L’antefatto risale al 13 maggio quando il cda di Generali nel nominare i comitati endoconsiliari ha deciso di non riproporre - come nella passata gestione - il comitato strategico, ovvero quello che in via preventiva esamina gli investimenti da sottoporre poi al consiglio per l’approvazione. Questo comitato, adetta di Caltagirone, in passato era stato utile per sventare diverse operazioni azzardate, e avendo funzioni solo consultive, comunque non avrebbe inficiato l’operato del nuovo consiglio. Di diverso avviso l’ad Philippe Donnet e gli altri esponenti della sua lista, che hanno ricevuto un ampio sostegno in assemblea (con il voto favorevole del 39,2% del capitale). Donnet ritiene che per accompagnare una nuova governance siano necessarie anche nuove regole.
Le best practice internazionali adottano varie soluzioni, c’è chi demanda le funzioni su fusioni e acquisizioni ad altri comitati, c’è chi come Axa dà direttamente più potere all’ad sulle operazioni fino a mezzo miliardo. Caltagirone, che da tempo critica la gestione Donnet, aveva proposto con la sua listadi dare più poteri al consiglio e meno all’ad, ed è convinto che il management debba essere supportato ma anche vigilato. E così, dato che una sintesi tra l’idea dell’imprenditore e quella del management non è possibile, Caltagirone ha fatto un passo indietro.
L’articolo 28 dello statuto del Leone prevede che venga sostituito con un altro esponente della stessa lista e dello stesso genere. La scelta dovrebbe quindi ricadere su Claudio Costamagna o in mancanza su Luciano Cirinà, rispettivamente numero cinque e sei della lista Caltagirone. Morale se il cda ha appena perso un azionista di peso, che ha sempre esercitato un ruolo critico, ora rischia di trovarsi a discutere con un ex banchiere - che però potrebbe non essere disponibile - o con un ex dirigente di Generali, fino a marzo capo della divisione Est Europa.
Essere fuori dal cda permette a Caltagirone di comprare o vendere azioni senza passare dalla lista dell’internal dealing, e gli dà più poteri di manovra nel caso in cui decida di adire le vie legali; ipotesi estreme, ma che data la situazione non possono essere escluse. Le nuove tensioni sulla governance hanno fatto perdere al titolo l’1,97% a 17 euro, mentre Piazza Affari saliva dello 0,37% con gli altri finanziari in chiaroscuro. Intanto lunedì si riunirà un comitato nomine del Leone, che dovrà trovare un compromesso sui comitati che - secondo lo statuto Generali - devono fare spazio anche alle liste di minoranze, che dato il clima di tensione hanno deciso di non partecipare.
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Andrea Greco, la Repubblica
Se il secondo addio in quattro mesi di Francesco Caltagirone dal cda Generali si rivelerà una mossa distensiva - o il contrario - per il Leone ferito, lo si capirà tra venti giorni. E anche guardando a Mediobanca, primo e storico socio della compagnia col 12,9%, sponsor delle nomine con la “lista del cda uscente”, che ha portato a rinnovare l’ad Philippe Donnet il 29 aprile.
Vari “ambasciatori” sono allertati sui due fronti: ma finora le due parti negano ogni contatto ufficiale negli ultimi mesi. Soprattutto, non risulta che un compromesso possa esserci sulla testa di Donnet, o scavalcando il cda appena scelto dalla maggioranza dei soci, tra cui tutti gli investitori istituzionali esteri.
Alberto Nagel, capoazienda di Mediobanca appena rientrato da una settimana di road show tra Londra e gli Usa, non risulta avere contatti con Caltagirone dal giugno 2021. Quando, in un summit romano, idue azionisti tentarono un accordo sui nomi del nuovo vertice del Leone. L’imprenditore voleva sostituire Donnet con un dirigente italiano, interno o esterno al gruppo, da scegliere insieme, e introdurre un dg. Ma quella trattativa, avviata sui nomi di Sergio Balbinot presidente e Luciano Cirinà o Giovanni Liverani come capi operativi, saltò. Mediobanca in estate abbracciò la lista del cda, mentre Caltagirone prese un 3% di Mediobanca (già sotto scacco per l’ascesa di Delfin, ora al 19,5%) e iniziò a pensare a una sua lista per Trieste.
Chi conosce Nagel sa che in questi mesi ha sempre predicato che, una volta scelto l’iter della “lista del cda” anche per Generali, ogni soluzione sulla governance e le strategie andava cercata e trovata all’interno del consiglio. E da questa posizione non sarebbe arretrato dopo l’assemblea che ha rinnovato Donnet, reso più forte e accreditato di prima. L’11 maggio Nagel ha fatto un passetto pubblico, nel presentare i suoi conti trimestri, dicendo: «Credo sia opportuno per il bene di tutti gli attori mettere fine agli antagonismi su Generali, e coltivo la ragionevole aspettativa che ciò possa avvenire». Ma anche ieri, saputo dell’addio bis di Caltagirone a Trieste, dentro Mediobanca non si accreditano scorciatoie sul metodo, che assegna al nuovo cda Generali ogni scelta sulle persone a capo del gruppo e sulle strategie.
Entro un mese un paio di scadenze diranno se l’imprenditore romano potrà tornare a collaborare con il socio Mediobanca, il cda e il management. Oppure resterà minoranza dentro l’azionariato e in consiglio, pur se in blasonata compagnia (Leonardo Del Vecchio, suo sodale nella ricerca di soluzioni alternative per Generali, ha come lui quasi il 10% delle quote). La prima scadenza, il 22 giugno, è la riunione del cda Generali in cui l’imprenditore non ci sarà più, ma in cui il sostituto tratto dalla sua lista dovrà valutare, con gli altri due membri della “minoranza Caltagirone”, se accettare la mediazione che il comitato nomine interno sta studiando per ricomprendere le minoranze nei comitati consiliari. La seconda scadenza, solo tecnica, è il 17 giugno e riguarda le opzioni di vendita che Caltagirone comprò a suo tempo su circa il 2,5% del suo pacchetto Generali. Una modalità che ha usato più volte, anche per coprirsi da eventuali ribassi. Tra 20 giorni, in sostanza, l’azionista romano avrà diritto a vendere a 18 euro quel che ieri in Borsa valeva 17,08 euro. Logica finanziaria vorrebbe che lo facesse: anche solo per ricomprare le stesse azioni a prezzi più bassi, guadagnandoci e restando investitore stabile e vicino alla quota attuale, come ha più volte fatto sapere. Ma non si può neanche escludere che, tra i chiari di luna congiunturali e l’occasione di fare cassa con plusvalenza, presto Caltagirone si alleggerisca un po’. Ora che non è più consigliere e soggetto all’internal dealing, finché resta sopra al 5% non deve comunicare niente alla Consob.