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 2022  maggio 28 Sabato calendario

Intervista a Lewis Hamilton

«Da sempre sono abituato a lottare contro le difficoltà, supererò anche questa». La collanina luccica insieme agli anelli, sui piercing ha ottenuto una nuova deroga dalla Fia. Lewis Hamilton fatica a guidare la Mercedes sull’asfalto sconnesso del Principato. La macchina non è più quella fenomenale di una volta, lui invece è rimasto lo stesso. Un uomo capace di portare la F1 in un’altra dimensione sportiva, in prima linea nelle battaglie contro il razzismo, la sua lotta va molto oltre la pista. Non vuole più parlare del controverso finale di stagione 2021, guarda oltre.
Da anni è in campo per promuovere temi sociali in F1 e portare la multiculturalità. Inizia a vedere i risultati del suo lavoro?
«A dire il vero, no. Soltanto “baby step”, passi minuscoli, per molte squadre non sono temi prioritari. La F1 ora è più consapevole, ma bisogna spingere ancora tantissimo. Il tema adesso è più sottotraccia, ci si muove dietro le quinte. Serve tempo e io continuerò a insistere». 
Quanto è stato difficile parlare di certi argomenti in un mondo non abituato a prendere posizioni?
«Molto duro, soprattutto se sei l’unico a prendere posizione. La “Hamilton Commission” è nata per creare consapevolezza, per abbattere le barriere. È dura, ma resto fiducioso». 
Perché?
«Se guardo alla mia squadra, la Mercedes, ha intrapreso la direzione giusta. Nel marketing, per esempio, non c’è mai stata così tanta “diversità”. Ora vorrei vedere gli stessi passi anche in altri settori, fra i meccanici e gli ingegneri. Aumentare la presenza delle donne nel motorsport. La commissione manda delle indicazioni alla F1, io mi preoccupo che vengano recepite. E mi preoccupo anche che i soldi della fondazione “Mission 44” finiscano ai giovani che ne hanno bisogno». 
E questo la rende più orgoglioso delle 103 vittorie, dei 7 Mondiali?
«Sì, di gran lunga. Non c’è sensazione migliore che aiutare chi ne ha bisogno. A non essere cacciato dalla scuola, come è capitato a me, per esempio». 
Perché è successo?
«Per mancanza di cultura, perché tutti gli insegnanti erano bianchi e non capivano le minoranze. Per combattere le diseguaglianze bisogna partire dall’educazione». 
Quando parla con gli altri piloti di questi temi la ascoltano?
«Hanno voglia di imparare, ma se non lo vivi di persona non puoi capire fino in fondo. Tempo fa ho detto a Toto Wolff: “Pensa se entrassi nel paddock, fossero tutti neri e tu l’unico bianco”». 
Passando allo sport, lei avrebbe mai pensato di incontrare tante difficoltà quest’anno? Dove trova l’energia per affrontarle, a 37 anni?
«La resilienza è dentro ognuno di noi. Mai mollare. Una volta cadi, l’altra ti rialzi. Mi aiuta la meditazione».
La meditazione?
«L’ho fatta anche stamattina. Devi prenderti dei momento. Per massimizzare le energie, per fortuna io ne ho tante. Dormo poco». 
Quanto?
«Cinque-sei ore a notte, sei è il numero perfetto. Se ne dormo otto mi sveglio stanco». 
Perché è convinto che la Mercedes riuscirà a recuperare?
«Sono con questi ragazzi da dieci anni. So come lavorano e il tipo di cultura: niente processi, vinciamo e perdiamo insieme. Sono motivatissimi, danno l’anima per riportarci in alto».
Ci crede ancora all’ottavo titolo?
«Certo che ci credo. Non è solo una questione di record, di titoli sportivi. Voglio vincere per portare avanti tutto il lavoro dietro le quinte a favore dell’uguaglianza. La F1 non è più quella di prima: montavano i garage, correvamo e poi tornavamo a casa. Ora è fonte d’ispirazione, aiuta a formare opinioni. Ed è in buone mani grazie a un grande italiano». 
Domenicali?
«Sì, Stefano è il motore del cambiamento. C’è bisogno di gente aperta come lui, capisce tutto e tutti».
Ma lei fino a quando vuole correre, a 40 anni?
«Domanda difficile! Prendiamo questa stagione: probabilmente non vincerò il titolo, ma io provo lo stesso piacere di gareggiare di quando ho iniziato. Perché dovrei smettere? Magari un giorno non reggerò più la pressione, sarò stanco, ma quel giorno non è ancora arrivato». 
Il campionato chi lo vince, Verstappen o Leclerc?
«Quindi dà per scontato che noi della Mercedes siamo spacciati? Non ci sottovaluti (ride, ndr). La Ferrari è più forte in qualifica e la Red Bull in gara. Ma cambia a ogni gara, e la Ferrari ha dimostrato di sapere creare una grande macchina. E poi Charles è fortissimo». 
Se lo aspettava così forte?
«Si vedeva. E comunque aggiungo una cosa: se potessi sedermi insieme ai tifosi laggiù, io sosterrei Charles. Sono un fan della Ferrari».
Verstappen è il rivale più forte che ha affrontato o uno dei tanti?
«Uno dei tanti, ne ho affrontati, e parecchi. Da Fernando Alonso in poi tutti avevano grandi qualità». 
Visto che è un fan della Ferrari perché non pensa a una «Last Dance» a Maranello?
Mostra un tatuaggio sull’avambraccio. «Lo vede che cosa c’è scritto qui? “Loyalty”, “lealtà”. Certo che sarebbe stato bello correre per la Ferrari durante la mia carriera, ma le cose succedono per motivi precisi: la Mercedes è la mia famiglia, sarò per sempre un pilota Mercedes, come lo è stato Stirling Moss». 
Come sceglie gli abiti che indossa prima di ogni Gp?
«Non ho tempo per lo shopping. Guardo le sfilate online, leggo siti e riviste, scatto foto con il telefono e le invio a un amico che ha uno stilista personale. E mi dà una mano a recuperare i vestiti. Poi ci incontriamo e valutiamo le diverse opzioni. C’è tanta preparazione dietro».
Come una sfilata. Perché lo fa? 
«Perché mi piace e perché un giorno aprirò una casa di moda tutta mia. Anche se non diventerò mai né Valentino né Karl Lagerfeld». 
Siamo a Montecarlo, regno del lusso mentre si combatte una guerra in Europa. Non è un controsenso? 
«È difficile accettarlo. Ma vale per tutto: per i concerti, per le partite, la vita continua. Però non riesco a guardare le immagini dei bombardamenti, devo spegnere la tv». 
Che cosa fa per aiutare chi soffre laggiù?
«Do una mano a un paio di organizzazioni in Ucraina a trovare fondi per i profughi, lancio appelli».