Corriere della Sera, 28 maggio 2022
Abba, il concerto degli avatar
LONDRA Il distacco fra realtà e finzione è doloroso. Al termine di Abba Voyage, lo spettacolo in cui la band svedese affida la propria eredità musicale a degli avatar digitali che la riporta alla giovinezza, le quattro popstar over 70 in carne ed ossa e acciacchi salgono sul palco per prendersi l’applauso del pubblico. Vedere Anni-Frid Lyngstad che cammina appoggiata ad un bastone, Agnetha Fältskog ormai elegantissima nonna, Benny Andersson con i capelli grigi e Björn Ulvaeus con una tinta improbabile, fa crollare un’illusione durata 95 minuti.
Giovedì a Londra c’è stata la opening night – sul red carpet Kate Moss, Kylie Minogue e i reali di Svezia – e ieri il debutto per il pubblico di questo show che ha già date annunciate per un anno, primo passo di un cammino che punta a recuperare circa 170 milioni di euro di investimenti, 5 anni di lavoro e la costruzione di un’arena su misura per ospitare ogni sera 3 mila persone.
Il risultato è un’esperienza più immersiva e reale di quella degli ologrammi, più credibile di un deep fake, più ingannevole di qualsiasi casco per la realtà virtuale e senza nemmeno gli annessi problemi di nausea o vertigine di questi. «Essere o non essere: non è più questo il problema» filosofeggia l’avatar di Benny.
Gli Abba ribaltano le ossessioni di Dorian Gray. Il personaggio di Oscar Wilde, alla ricerca dell’eterna giovinezza, faceva un patto col diavolo e così invecchiava soltanto il suo ritratto. L’immortalità delle quattro popstar, oltre ad essere custodita in un repertorio da 400 milioni di album venduti, ora è anche digitale.
Ci sono volute 5 settimane di riprese con 100 persone della Industrial Light & Magic di George Lucas per catturare ogni dettaglio e ogni movimento dei quattro protagonisti. Gli Abba-tar sono belli e perfetti, le rughe piallate da una chirurgia digitale, come se fossimo nel 1979. L’unico difetto è che non sudano mai, sono freschi dall’inizio alla fine dell’ora e mezza abbondante di performance.
Quello che colpisce è che non si tratta di una tecnologia 3D, ma solo di uno schermo ad altissima definizione. I dettagli convincono anche gli scettici: la definizione dei capelli, i riflessi delle paillettes e i panneggi degli abiti, gli scambi di sguardi.
Certo, non è un vero concerto, anche se c’è una band con 10 musicisti che suona e accompagna le voci registrate di Agnetha e Frida. La reazione del pubblico però è la stessa: gli urletti appena si riconosce un brano dalle prime note, gli applausi alla fine, i cori sui ritornelli e le coreografie con le braccia.
La scaletta parte con «The Visitors» e il primo brivido da hit arriva su «SOS». Per dare l’illusione del live i doppioni digitali parlano al pubblico: raccontano aneddoti familiari (Frida), ringraziano per il sostegno (Agnetha), fanno battute come quella sullo «zero» che arrivò dalla giuria inglese all’Eurovision da loro vinto nel 1974 con «Waterloo».
Costumi, visual e luci aggiornano l’immaginario camp degli anni 70: non c’è spazio per un’estetica minimalista. «Summer Night City» è fantascienza e tutine tech, «Gimme! Gimme! Gimme!» ricorda i varietà della tv dell’epoca, «Dancing Queen» esplode di colori con centinaia di catenelle luminose calate sulla platea. Il saluto è su «The Winner Takes It All».
Dopo 40 anni di separazione tutto è consegnato alla memoria digitale. Si aggiunge una nuova eredità, chissà quanti proveranno a copiare questa soluzione che sicuramente batte l’esperienza solitaria dei concerti in streaming o su Fortnite visti dal divano o dalla scrivania.
Non ci sarà un’altra reunion. Nel programma di sala si congedano così: «Come gruppo abbiamo fatto viaggi in acque ancora inesplorate ma nessuno è stato contorto, imprevedibile e lungo come questo: è il momento di gettare l’ancora».