ItaliaOggi, 27 maggio 2022
Un calice di vino nel deserto
Bere un sorso di deserto. Non pensate all’acqua di un’oasi imbottigliata o a qualche proposta esotica; piuttosto a un calice di vino. Le uve da cui è ottenuto, però, crescono in un luogo estremo: sole, aridità e altitudine fanno del deserto di Atacama un posto inospitale, dove l’agricoltura è difficile, le piante devono sopportare importanti stress ambientali. Sarà per questo che i viticoltori,nella parte cilena del deserto, coccolano letteralmente le loro vigne capaci di generare grappoli anche a quasi tremila metri sul livello del mare. Ma quest’ultimo non è l’unico fattore ostico da affrontare: in questa area dell’estremo nord del Cile gli agricoltori devono fare i conti con temperature negative di notte, una potente solarizzazione di giorno e il nodo dell’acqua.
A Toconao, a una quarantina di chilometri da San Pedro de Atacama, il 71enne Hector Espindola ha creato una vera e propria oasi, come ha raccontato l’Agenzia France Presse: grazie a un ruscello nato dallo scioglimento delle nevi andine riesce a irrigare i suoi vigneti, piantati vicino a mele cotogne, pere e fichi. Adotta una tecnica particolare, l’irrigazione per allagamento: i vigneti ogni tre o quattro giorni vengono invasi dall’acqua. «In questo modo produco un po’ di più ogni anno», ha detto, «ma bisogna stare attenti, perché qui il caldo è un nemico pericoloso».
Il viticoltore fa parte della cooperativa Ayllu, che dal 2017 aggrega 18 piccoli produttori della zona, discendenti degli indigeni Atacama.
Tra i soci c’è Cecilia Cruz, 67 anni, che ha il vigneto più alto del Paese, a 3.600 metri di altitudine, dove produce Syrah e Pinot Nero. E qui conta di sviluppare ulteriormente la sua azienda, in modo da garantire un futuro ai suoi tre figli.
Il vino del deserto è una produzione di nicchia nel panorama enologico, anche in quello cileno: lo scorso anno la cooperativa ha raccolto 16 quintali di uva producendo 12mila bottiglie, ma quest’anno la vendemmia è stata migliore, circa 20 le tonnellate, e si ipotizzano le 15 mila bottiglie.
Merito di questa crescita è anche del giovane enologo Fabian Muñoz, 24 anni, che sta affiancando gli storici produttori della cooperativa assieme alla chimica Carlonia Vicencio, 32 anni. Nuove leve che stanno approcciando la produzione con rigore scientifico, analizzando i suoli e affrontando i problemi come la salinità del suolo o terreni troppo ricchi di boro. Grazie alla loro consulenza la produzione si sta evolvendo: vitigni più resistenti, vigneti ombreggiati, irrigazione a goccia. Nelle aziende dove si sono adottati questi accorgimenti la produzione è raddoppiata. Così si difende una tradizione.