la Repubblica, 27 maggio 2022
Intervista a Walter Sabatini
Continuano a descriverlo in una nuvoletta, con la sigaretta in bocca.
«Ma ormai aspiro solo l’elettronica. Non posso vivere senza l’idea del fumo, sono un uomo debole, sopraffatto dai miei vizi». Walter Sabatini, 67 anni, ex calciatore, ex tre pacchetti al giorno, non ex crepuscolare, dirigente sportivo tra i più famosi (Lazio, Palermo, Roma, Inter, Samp, Bologna), fiuto e sensibilità, resta alla Salernitana. Ha contribuito (in cinque mesi) alla sua salvezza, vorrebbe rifarlo anche nella prossima stagione, ma con altre modalità.
Le era mai successo di avere così tanta paura?
«No, mai. È stata la prima volta. Come correre in F1, un impegno, anzi una derapata per le mie sinapsi. Sono arrivato a Salerno a gennaio con la squadra penultima a 8 punti, tutti mi sconsigliavano di andarci e per questo ci sono andato. Quel sentimento della paura mi teneva vivo, non avevo mai provato il terrore dell’arbitro che fischia la fine e sei retrocesso. Forse avevo patito nella Lazio di Delio Rossi, ma lì avevamo un po’ più di margine. Questa è stata una rincorsa da cuori selvaggi, tanto che ora leggo libri improbabili, ho bisogno di distendermi, di stare tra amici, di affetto per le mie coronarie».
Ha abbandonato Gabriel Garcia Marquez?
«Sono passato a Passeggiate Romane di Stendhal e a Fiesta di Hemingway che non è Addio alle Armi, il libro che mi aveva introdotto alla narrativa. È un momento in cui voglio tenermi lontano dalle tensioni. Resto a Salerno perché mi amano di un amore folle e io ne ho bisogno. Funziona per la mia psiche. La gente mi vede, frena, parcheggia la macchina, mi saluta, mi incita, senza essere invadente. Resterà anche Davide Nicola, ci sarà da trattare un adeguamento di stipendio. Scremerò 7-8 giocatori, conosco già la tipologia che preferisce. E puntiamo a fare un campionato più tranquillo, con meno batticuore: quando sono arrivato ci davano al 93% retrocessi, io mi sono tenuto il 7% di salvezza e me lo sono giocato con la squadra».
Da dove ha visto l’ultima partita?
«Da un box dove mi ero portato uno schermo per seguire la partita del Cagliari. Sapevo che per noi era dura, in più senza Ederson, e che tutto sarebbe dipeso dall’incontro di Venezia. Anche Nicola avvertiva e sentiva troppa tensione tanto che prima della partita aveva organizzato una cena tranquilla, senza alcolici, con le famiglie dei giocatori, con i loro bambini, e con un piccolo parco giochi. L’ho visto commosso quando sono state lanciate in cielo delle lanterne, credo che lui emotivamente in quel momento pensasse e fosse in contatto con il suo ragazzo di 14 anni, perso nel 2014 per un incidente stradale. Nicola è uno che studia, che prepara i suoi discorsi, ha un rapporto di solidarietà fisica con i suoi giocatori, lasciamo stare quando mimò il lancio della scarpa (contro la Fiorentina: era furioso con i suoi, ndr).Ha ereditato in corsa una squadra con solo 3 successi in 23 partite. È riuscito a raddoppiare le vittorie nelle ultime otto giornate battendo Samp, Udinese e Fiorentina. Non era mai capitato in A che la Salernitana ne vincesse tre di seguito».
Come l’ha convinta Nicola?
«Quando al primo allenamento l’ho sentito incitare un giocatore a marcare l’avversario. Gli ha urlato: rincorrilo con felicità. Non mi era mai capitato. È stato un segnale, a volte non vedi la strategia, ma un particolare. Il messaggio era: questo è il nostro mestiere, ma lo possiamo fare con leggerezza. Per me è stata l’anticipazione di qualcosa. A Roma ho visto molti ragazzi in giro con la maglia della Salernitana, forse per simpatia, siamo la piccola squadra, senza idoli e senza stelle, che si salva con testardaggine e fortuna».
Lei però ha smontato e rimontato la squadra con 11 acquisti.
«Di cui 7 titolari. Avrei voluto riprendere anche Edoardo Iannoni, 21 anni, centrocampista, in prestito all’Ancona, ma non ce lo hanno ridato. Nella prossima stagione però giocherà con noi. Non ci siamo salvati con delle figure mitologiche, ma con Fazio, Perotti, Radovanovic, Sepe, Bohinen, Verdi. Con altri così. Con adulti che fanno gli adulti, con qualità morali, senza eccessi, senza mano di Dio, ma con un’attività consistente. Bohinen è del ’99, potrebbe essere il futuro di una grande squadra. Io sono qui non per gestire una fase del campionato, ma per portare a casa un patrimonio».
Il campionato però scarta i giovani giocatori italiani.
«Ci fossero e anche bravi, giocherebbero. Se l’Udinese che è una società saggia mette in campo 8-9 stranieri non è perché trascura i giovani, ma perché gli stranieri hanno più qualità. Smettiamola con questi slogan. L’Italia non vai ai Mondiali, e mi dispiace, non perché non fa esordire i giovani, ma perché ha giocato male, i titolari hanno sbagliato i rigori e perché la condizione atletica era scarsa».
Cosa le ha detto questo campionato?
«Che conoscenza, preparazione e perseveranza contano. Il Milan ha vinto grazie soprattutto al lavoro dei suoi dirigenti, Maldini e Massara, che in un angolo, spesso opponendosi ai proprietari, hanno combattuto. Si sono imposti per avere Leao e Hernandez. Ibrahimovic è stato trascinante per lo spogliatoio, anche se c’è molta, troppa, letteratura, però qualche giocata importante in campo l’ha fatta. Non è un caso che forse l’Atalanta, che con la famiglia Percassi era ancora in gioco, appena passata a un fondo di investimenti sia scivolata fuori. Un conto è vedere padre e figlio ogni giorno in campo, insomma i cambiamenti in alcune dinamiche si fanno sentire, poi magari l’usura nervosa di qualche giocatore ha fatto abbassare il rendimento. Il Napoli ha fatto un ottimo campionato, il terzo posto è un eccellente risultato, onestamente non penso avesse una squadra da scudetto. Inoltre il fantasma di Maradona pesa tantissimo e opprime. Il ricordo di Diego schiaccia questa squadra e quando si tratta di stringere i bulloni ecco che le mani si indeboliscono».
Lei portò Cavani al Palermo.
«Non voglio illudere i tifosi di Salerno: Cavani è inavvicinabile, ha un prezzo troppo alto per la Salernitana. Ribery ha il rinnovo automatico e vuole giocare».
Come ha seguito la Roma?
«In tv. Con una sciarpa giallorossa al collo. L’ho sempre detto che la Roma è la mia malattia».
Vi scambiate libri con Nicola?
«Lui è una fan di Paulo Coelho, come Luis Enrique. E si sa io per Coelho non vado pazzo».