la Repubblica, 27 maggio 2022
Quel simpaticone di Marcel Proust
Testo tratto dal libro “Saggi su Proust” di Bernard de Fallois (La nave di Teseo, trad. V. Agostini-Ouafi e F. Ascari, pagg. 544, euro 26).
Balzac ha creato più dei drammi che delle commedie. I suoi eroi hanno tutti un singolare destino. Noi non ci facciamo beffe di papà Goriot, del barone Hulot o del disgraziato Rubempré, né della duchessa di Langeais, né della principessa di Cadignan, né del terribile Vautrin. I loro nomi non fanno reagire il lettore di Balzac con un sorriso. Mentre Françoise e Bloch e Cottard e Swann stesso… Certo lo scopo di Proust, la chiave di volta della sua opera, è di mostrarci l’importanza, l’influenza del tempo sulla vita degli esseri umani. È persino in questo che ha la consapevolezza di essere il più originale. Tutti quelli che, prima di lui, hanno ritratto l’uomo e cercato di conoscerlo senza tener conto di tale realtà, senza immergere l’uomo nel tempo, secondo Proust ci hanno tutti lasciato solo una visione, un quadro incompleto e menzognero. Hanno dimenticato l’essenziale. E in secondo luogo la verità sull’uomo è così triste, così assoluta, con il suo definitivo isolamento e la sua incapacità di realizzare il desiderio che gli è più caro, essere amato, che non si capisce proprio come Proust potrebbe essere definito un autore comico.
E tuttavia i fatti sono evidenti. Dall’inizio alla fine di quest’immenso racconto (Alla ricerca del tempo perduto , ndr )che si estende su più di quarant’anni, non smettiamo di ridere, di attraversare tutte le sfumature del riso, dal sorriso commosso all’incontenibile ridarella, senza mai stancarcene. È questo mistero che cercheremo di chiarire oggi ponendoci la questione preliminare che si può dunque formulare così: perché Proust è tanto divertente?
Dico precisamente “perché?” e non “come?”. Del “come?”, ne parleremo anche, naturalmente. Il “come?”, sono tutte le strategie dell’autore comico. Ma, al di là delle strategie vorrei interessarmi con voi al “perché?”.
Che cosa significa, che cosa ci insegna in fin dei conti questa predilezione costante di Proust per il riso?
C’è tuttavia un errore che si commette spesso quando si commenta un romanziere, una sorta di trappola nella quale cadono quasi tutti i critici o i professori, e io vorrei segnalarla per evitare che anche noi a nostra volta ci caschiamo dentro.E quest’errore consiste nel credere che i romanzieri siano delle specie di filosofi che hanno delle verità da insegnarci, e che hanno scelto di insegnarcele tramite una storia, di cui dobbiamo decifrare il senso. Anche se non lo esprimono così apertamente, è più o meno sempre questo l’atteggiamento dei critici.
Ora bisogna sempre ricordarsi che in realtà le creazioni non si realizzano in questo modo. Non è dopo una lunga riflessione sulla filosofia dell’esistenza che Proust ha deciso di ricorrere al romanzo. E non è nemmeno perché voleva dimostrare che l’uomo è contraddittorio, che ha popolato il suo romanzo di personaggi contraddittori e comici.
È semplicemente perché è così che gli piaceva vivere, è così che reagiva da sempre, seguendo le azioni degli uomini.
Ne abbiamo molteplici testimonianze. Le sue lettere sono piene di battute divertenti, di pettegolezzi, di racconti, con sua madre, con Reynaldo Hahn, con Lucien Daudet. Sappiamo che, fin dall’adolescenza, Proust riscuoteva un gran successo con i genitori dei suoi amici facendo graziosissimi complimenti alle loro madri, ma soprattutto facendo ridere tutti. Era un imitatore impagabile.
Gli sarebbe piaciuto, credo, il genere dell’imitazione, che a quanto pare non esisteva alla sua epoca, e che ci ha fatto passare tanti momenti divertenti, alcuni anni fa.
Mi ricordo, come fosse una scenetta proustiana, una trentina d’anni fa, di una sera in cui ho assistito, alcuni giorni prima dell’apertura di un cabaret parigino, mentre gli operai vi stavano ancora montando la scena, a un dibattito improvvisato tra Thierry Le Luron e Pierre Douglas, entrambi venuti lì in amicizia, e che cominciarono, il primo nel ruolo di Jacques Chaban-Delmas, l’altro in quello di Georges Marchais, uno di quei duelli oratori che la televisione aveva appena fatto diventare di moda e che riscuotevano un gran successo. Sono sicuro che Proust avrebbe l’adorato.
Come gli piaceva di certo andare ad ascoltare Mayol, l’illustrissimo cantante satirico dell’epoca che non era uno dei più signorili, il che sorprenderebbe e deluderebbe certamente molti degli ammiratori di Proust nel mondo. Come gli piaceva anche assistere e, se ricordo bene una cosa appresa tempo fa, dare man forte a tutte le commedie di Robert de Flers e di Gaston de Caillavet, tipo L’Habit vert .Come gli piacevano Offenbach, Meilhac e Halévy.
Ci sono spesso nella Recherche du temps perdu delle scene che ci fanno pensare a Feydeau, il grande autore di vaudeville dell’epoca, le cui opere la gente seria avrebbe trovato di sicuro scandaloso immaginare che sarebbero state recitate un giorno alla Comédie Française, e che è diventato sessant’anni dopo uno dei più rappresentati al Théâtre Français, evoluzione che avrebbe entusiasmato Marcel Proust.
© 2022 La nave di Teseo editore Milano.
L’autore, scomparso nel 2018, è stato un editore e uno studioso proustiano