La Stampa, 27 maggio 2022
Percival Everett: «Mi vergogno degli Usa»
«Sono triste, lo stato del mio Paese è desolante, siamo in mano a un manipolo di persone avide, spietate e prive di cultura e istruzione che mettono a repentaglio gli sforzi della maggioranza degli americani». Percival Everett è sotto choc, le immagini della strage di Uvalde lo tormentano e girano come in un loop sulle tv americane.
L’autore afroamericano di «Telefono» e di altri libri che hanno segnato un’epoca nella cultura Usa, risponde dalla California e lancia un j’accuse che va oltre il dramma del Texas e tocca lo stato di salute del suo Paese, la democrazia americana. «Non sono orgoglioso del mio Paese, e tutti gli americani dovrebbero vergognarsi nel vedere quel che è accaduto».
Professor Everett, 213 mass shooting nel solo 2022, due stragi in pochi giorni, prima Buffalo poi Uvalde: cos’altro serve per smuovere la politica americana a fare una legge sulle armi?
«Ci sono soldi, molti soldi dietro tutto. Le armi si vendono per quello. E poi c’è questa chiamata "al diritto di possedere un’arma" che è diventato negli anni sempre più un test di purezza per il popolo conservatore. In America lo chiamiamo litmus test, una cartina di tornasole».
Questo rimanda al Secondo Emendamento, sacro per alcuni filoni della destra. Una democrazia matura può accettare ancora questa logica?
«Il Secondo Emendamento non dice quel che alcuni rivendicano. Anche perché cosa direbbero i sostenitori delle armi per tutti se io mi presentassi con un tank o una bomba sporca? Insomma, quale è il limite di cui parla il Secondo emendamento. È molto triste tutto ciò, e la Costituzione non ha nulla a che vedere con questo. È il crepuscolo della ragione».
Una democrazia che consente il ripetersi di eventi tragici del genere non è malata?
«Diciamo che siamo una nazione che dimostra che poche persone avide e senza pietà fanno danni che pagano poi tutti».
Le ragioni del killer di Uvalde sono ancora oggetto di indagine, quelle dell’aggressore di Buffalo invece sono legate al suprematismo e al timore che le minoranze etniche soppiantino i bianchi negli Stati Uniti. Crede sia un’ideologia così diffusa?
«Il problema non è quanto è diffusa. Ritengo sia una minoranza residuale e sostenere queste assurdità. Il guaio è che è una minoranza violenta. Non sappiano quanti siano, diciamo 50 mila su 330 milioni? Ma creano problemi immani. È tremendamente pauroso e triste. E c’è un aspetto che mi rattrista ulteriormente».
Quale?
«Il razzismo è stato sdoganato».
Perché?
«Fino a qualche tempo fa le persone non volevano ammettere di essere razziste perché sentivano che questo sentimento era brutto. Mi pare che ora non ci sia più questa consapevolezza fra le persone bianche. Non la maggioranza per carità, ma è come se alcune idee ora possano trovare spazio».
Perché si è arrivati a questo sdoganamento?
«C’è una mancanza spaventosa di cultura nel Paese, un deficit educativo. E il tutto si è acuito negli ultimi anni quando il narcisismo ha invaso la Casa Bianca. Non è che ora a Biden basta proclamare che unirà il Paese per realizzare il progetto. Che è ingenuo. Non si può improvvisamente azzerare quanto accaduto, vi sono altri "bambini" in giro non abbastanza capaci o acuti nel comprendere quanto sta accadendo».
Professore, lega le difficoltà culturali dell’America a un rigurgito del trumpismo?
«Guardi, c’è una ragione molto semplice che spinge i repubblicani, ma non tutti, a opporsi alla formazione delle persone, alla diffusione della cultura e della conoscenza. Vogliono un popolo ignorante perché è più facilmente controllabile, non vogliono invece cittadini dotati di senso critico e capaci si smontare le ideologie e le falsità. C’è una parte del Paese che si ritiene immune da questo virus, che tende ad auto assolversi. Ma è sbagliato. E quanto accaduto a Buffalo o nella metropolitana di New York evidenziano che la violenza e il razzismo, figlie di questa assenza di cultura, sono ovunque in America. Non è solo il Sud a vivere il problema».
La democrazia in America è in pericolo?
«È a rischio perché persone non istruite possono afferrare il potere, è in pericolo a causa del razzismo, è in pericolo per le divisioni che ci sono, per le battaglie contro i diritti. In realtà però bisognerebbe domandarsi se tutti questi elementi non siano già espressione di un malessere esistente piuttosto che dei segnali. Prendiamo ad esempio l’ascensore sociale, dove è finito? Oggi l’America è più un sistema oligarchico che una democrazia».
«Nessuno può arrivare al potere se non parte già inserito in un sistema di potere. E questa è una oligarchia, non una democrazia. O al massimo un’illusione di democrazia».