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 2022  maggio 26 Giovedì calendario

Biografia di Anna Achmatova

«Io leggo e rileggo Dante Alighieri. Si può dire che non faccio altro». Così rispondeva Anna Achmatova, la grande poetessa russa (ma lei preferiva essere definita poeta, al maschile), a chi le domandava quali fossero le sue letture predilette. In Dante trovava ispirazione e conforto alle inquietudini che tormentavano. Forse, a consolarla particolarmente sono stati i versi che si trovano in diversi canti dell’Inferno.
L’INFANZIA
A cominciare da Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria, e ciò sa l tuo dottore di Francesca da Rimini, al celebre incipit del conte Ugolino Tu vuo’ ch’io rinovelli disperato dolor che l cor mi preme già pur pensando pria ch’io ne favelli. Poche figure come quella di Anna hanno incarnato la tempesta del tempo: ha attraversato la Russia dallo zarismo alla rivoluzione d’Ottobre fino a Stalin e agli orrori del totalitarismo; poi ha vissuto il breve disgelo successivo alla morte del dittatore e la cupa stagnazione dell’epoca di Breznev. La sua poesia è una forma di ribellione dell’anima, non clamorosa ed esplicita, tuttavia altrettanto inesorabile e definitiva. Anna Andreevna Gorenko era nata il 23 giugno 1889 – segno zodiacale Cancro, come tanti altri poeti e scrittori – a Bol’soj Fontan, Odessa. I suoi genitori erano entrambi nobili. Parlerà in seguito della bontà della madre, «che, a quanto pare, / io ho ereditato da lei / vano dono alla mia vita crudele». La famiglia si spostò a Carskoe Selo, il Villaggio dello Zar vicino a San Pietroburgo. Da subito, la bambina dimostrò grande amore per la lettura, in particolare per Lev Tolstoj, e imparò il francese. In seguito, andò a vivere sul mar Nero con la madre, che si era separata dal marito, e con i fratelli. Studiò anche a Kiev; era una ragazza bella e fascinosa. Il cognome Gorenko lo abbandonò quando cominciò a pubblicare versi: il padre considerava disdicevole avere una figlia dedita alla letteratura. Assunse il nom de plume Achmatova: sembra appartenesse a una principessa che aveva sposato un discendente di Gengis Khan e che era lontana antenata di una sua nonna. Dal 1910 al 1918, Anna era stata sposata con Nikolaj Gumilëv, che le avrebbe dato un bambino di nome Lev. Il marito aveva creato il gruppo acmeista, o Corporazione dei Poeti, che voleva chiudere con il simbolismo allora dominante.
MODIGLIANI
Da giovane, la Achmatova aveva viaggiato in Europa, soprattutto a Parigi, dove era stata in viaggio di nozze e aveva stretto una profonda amicizia con il pittore Amedeo Modigliani, respirando l’atmosfera libera e ricca di fermenti culturali della capitale francese. Ma il resto della sua vita fu tormentato. La sua prima opera – del 1912 – si intitolava La sera, poi arrivò Il Rosario, Lo stormo bianco e molte altre. Nei versi emergono elementi personali, biografici, in cui sofferenza e speranza si mescolano indistricabilmente. Molto forte è anche il tema della preghiera. «Ho appreso a vivere semplice e saggia/ a guardare il cielo, a pregare Iddio». Quando scoppiò la Prima guerra mondiale, scrisse: «Invecchiammo di cent’anni, e accadde/ nel corso di un’ora sola». La drammatica morte del marito, fucilato dai bolscevichi, la portò, soprattutto a causa della censura, a non scrivere per diverso tempo. Avrebbe ripreso nel 1940: il Leitmotiv del dolore, del male si sarebbe fatto più intenso, senza che lei perdesse la fiducia nell’umanità. Anna avrebbe potuto lasciare la Russia, come altri intellettuali amici fra cui Marina Cvetaeva (che la chiamava Anna di tutte le Russie), e invece scelse di restare in patria come Boris Pasternak, l’autore del Dottor Zivago. Non volle abbandonare il suo paese, il secondo sposo Vladimir Shileyko (poeta e traduttore) e il figlio Zev, che nell’infanzia era stato affidato alla nonna. «No, non sotto un cielo straniero, / non al riparo di ali straniere: / io ero allora col mio popolo, / là dove, per sventura, il mio popolo era», noterà. Il secondo matrimonio, comunque, naufragò e lei si legò al critico d’arte Nikolaj Punin, che sarebbe stato più volte arrestato, per poi morire in un gulag. Al figlio Lev – imprigionato soprattutto perché figlio di suo padre – sarebbe stata sempre legatissima. «Ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado una donna dalle labbra livide che stava dietro di me mi domandò : Ma lei questo può descriverlo? E io dissi: Posso».
IL PREMIO
Benché Anna fosse protetta dalla sua fama, lo stalinismo faticava a tollerare quella poesia così lontana dai canoni del realismo socialista. Non fu mai arrestata ma fu di fatto una reclusa in patria. Le tolsero anche la tessera alimentare. Riuscì a mantenersi grazie al cibo che le davano gli amici e alle traduzioni di autori stranieri. Notissima in patria, acclamata all’estero, non raccolse i frutti della sua celebrità. Solo due anni prima della morte, avvenuta nel 1966, ebbe il permesso di recarsi a Taormina per ricevere un premio e l’anno dopo potè andare all’università di Oxford, dove ebbe la laurea honoris causa. «Siamo tutti per poco ospiti della vita, vivere è solo un’abitudine».