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 2022  maggio 26 Giovedì calendario

Nel segno di Zaniolo

È uscito dal campo in mutande, la maglietta addosso e la medaglia stretta nella mano, gli occhi puntati verso il cielo. Chissà che effetto deve fare a Nicolò Zaniolo essere l’uomo del destino. Aveva scomodato la storia, José Mourinho, prima della partita. E forse sapeva che la Storia, quella con la S maiuscola, ama le tante storie che la compongono. Quelle che a volte somigliano alle favole. E a Tirana c’era una storia che andava riscritta. Perché meritava un finale diverso. Quella di Zaniolo, caduto nelle buche profondissime che il destino sa scavare.
Aveva flirtato con l’Europa fin dall’inizio della sua carriera, Nicolò. Inevitabile se debutti con la Roma in Champions League, e al Bernabeu, prima ancora che in Serie A. Se la tua prima doppietta arriva in un ottavo di finale di Champions, contro il Porto, a quattro mesi dall’esordio. Se la prima tripletta è l’apriscatole che trasforma la trappola del Bodø in un acceleratore verso questa finale. E chi doveva essere se non lui, il ragazzo a cui lasorte aveva tolto due volte l’Europeo, prima e dopo il rinvio per Covid, a decidere la finale che regala alla Roma la sua prima coppa europea targata Uefa. «È il mio sogno da bambino, era ciò che volevo. Siamo una squadra forte, forse non sappiamo neanche noi quanto, ora ci godiamo questa serata stupenda per noi e per Roma».
Una gioia grande così, incidere in modo indelebile il suo nome su una coppa europea. Chissà che effetto ha per lui stringere quel trofeo, dopo due anni a guardare giocare gli altri, tenendo il proprio dolore tra le mura di casa con papà Igor, mamma Francesca, la sorella Benedetta, il cane, qualche amico.
Mourinho lo sapeva: aveva scelto di farlo giocare prima ancora di sapere se Mkhitaryan avrebbe retto un minuto o novanta. Perché nonostante i silenzi tra loro, un rapporto faticoso nel corso della stagione, uno come José sa che al talento non si rinuncia. Perché in notti così è l’arma a cui aggrapparsi.
E pensare che le strade avrebbero potuto separarsi a gennaio: c’era la Juventus, c’erano stati contatti, c’era forse anche un’offerta. La Roma ci ha pensato. Ma nella testa del general manager Tiago Pinto s’eraaccesa una spia. Quasi un presentimento. Quasi sapesse che dire “no” avrebbe offerto la possibilità di vivere un momento indimenticabile. Inutile chiedersi adesso cosa sarà domani. Perché notti così possono cambiare anche le storie già scritte. Nella peggiore delle ipotesi, Nicolò e la Roma si sono regalati il miglior saluto possibile. Ma adesso, dopo quel gol, chissà che i fili strappati delle relazioni non trovino un magnetismo che li riavvicini, una magia. Anche perché sarebbe un peccato imperdonabile adesso fermare la crescita di una squadra che anche a Nicolò deve piacere da matti: «Siamo forti, non sappiamo neanche noi quanto. Ci godiamo questa serata stupenda».
Stupenda come quel pallone catapultato sul petto di Zaniolo dal piede di Gianluca Mancini che oltre all’assist gli regala complimenti: «È stato bravo Nicolò a fare il cucchiaio.Tanta roba». E anche qui la Storia si è divertita a mescolare le proprie carte: avevano discusso i due, giusto nell’estate di due anni fa, quando Nicolò era appena rientrato dal primo infortunio e l’altro gli aveva rimproverato di non aver rincorso un avversario alla fine di una partita. Scaramucce da spogliatoio. In Giappone quando un vaso si rompe, per rimetterlo insieme si usa l’oro. Quello che hanno fatto ieri Mancini e Zaniolo. Usando l’oro di una medaglia europea, che nella bacheca della Roma non era entrata mai.