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 2022  maggio 26 Giovedì calendario

Le lacrime di Mourinho per il quinto trofeo europeo

Bisogna partire dalla fine, dalle cinque dita mostrate con orgoglio a ricordare la sua bacheca europea, e poi alle lacrime, che hanno ricordato la scena di Madrid quando Mou, appena regalata la Champions all’Inter, aveva già deciso di andarsene. Ecco perché, nella gioia della Coppa, il pianto Special ha già agitato i tifosi romanisti, preoccupati che dietro quelle lacrime possa esserci un addio. «No, io voglio restare a Roma, anche se arriva qualcosa non mi interessa, non voglio “qualcosa”, voglio vincere qui. Bisogna capire ora cosa vogliono fare i nostri proprietari, gente onesta e fantastica, per la prossima stagione, perché ci sono basi per dare seguito a tutto questo ». Una rassicurazione ma anche una precisa richiesta.
L’ultimo atto di una finale da Mou: serviva lui per riportare l’Italia a conquistare un trofeo Europeo. Ha predicato calma sul gol di Zaniolo, dopo aver esultato appena, e invitato la sua panchina a sedersi. Nella prudenza che ha chiesto ai suoi giocatori, José Mourinho ha dimostrato di credere lui per primo, quando dopo venti minuti del secondo tempo ha tolto un attaccante, Zaniolo, per mettere un mediano, Veretout. Ma poi si è anche infuriato quando l’arbitro ha lasciato correre un paio di falli di Senesi. «Ai ragazzi prima della partita avevo detto: a Torino dovevamo fare il nostro lavoro, qualificarsi per l’Europa League, e l’abbiamo fatto. Oggi no, non era lavoro: era storia. Potevamo scriverla o non scriverla, l’abbiamo scritta».
Fabio Capello aveva fatto la più facile delle profezie: “La differenza la farà Mourinho”. E aveva aggiunto che oggi quasi nessuno (e quel “quasi” è Ancelotti, appunto) sa preparare una finale come lui. «Il fatto che solo io e Alex Ferguson e Trapattoni abbiamo vinto tre competizioni europee in tre decenni mi fa sentire vecchio. Adesso vado in vacanza, mi siedo in spiaggia davanti a casa mia a pensare tutto questo», ha aggiunto Mou.
Dejan Stankovic racconta che prima della gara Champions di Madrid il portoghese disse alla squadra pochissime parole: «Ricordate che le finali sono fatte per essere vinte». Un proclama coerente con la sua storia: quattro finali europee da primo allenatore, quattro vittorie. E per questo ha festeggiato mostrando le cinque dita della mano aperta. Due volte la Champions, con i nerazzurri nel 2010 e sei anni prima con il Porto. Due volte l’Europa League. La prima, quando ancora si chiamava Coppa Uefa, nel 2003 col Porto. La seconda nel 2017 con lo United. Ora la Conference League, che fatte le debite proporzioni ricorda le sue altre imprese, quelle che ne hanno fatto lo Special One. «Un conto è vincere quando tutti se lo aspettano, un conto quando i trofei restano immortali. Penso alla gente romanista che fa la sua festa oggi: rimane per sempre». Il Mourinho delle finali apparentemente somiglia poco a quello del resto della stagione. Non mette pressione, la toglie. Non incendia, spegne. Anziché aggiungere, sottrae. Fino ad arrivare a teorizzare l’inutilità dell’allenatore nell’ultimo atto del torneo. Lo ha detto alla vigilia: «Una finale europea è sempre l’ultima partita della stagione. Ormai il lavoro dell’allenatore è finito». Come a dire che le gare più importanti si giocano da sole, non richiedono disegno e regia. Non è vero, non può esserlo, ma probabilmente pensarlo aiuta a vincerle. Rende più leggero il pallone, scioglie le gambe e la testa.
Che quella di Tirana sarebbe stata la sua partita, ancor prima che della squadra giallorossa, è stato evidente fin dall’arrivo in città, con l’arazzo giallo esposto sulla facciata dell’università che lo ritraeva in sella alla Vespa bianca. Un’immagine volata direttamente dai muri di Testaccio in Albania: “Benvenuto a Little Roma, mister Mourinho”, Perché nonostante abbia quasi sessant’anni, e da tempo tutti i capelli bianchi, è ancora il ragazzo dell’Europa cantato da Gianna Nannini, che non perde mai la strada e porta in giro la fortuna. Ora tocca a Roma non lasciarlo scappare.