la Repubblica, 25 maggio 2022
I beni culturali e le opere d’arte digitali: un caso
1 - Giuliano Foschini, la Repubblica
Di chi è il Tondo Doni di Michelangelo? E la Nascita di Venere di Botticelli? Ancora: ma davvero una società milanese ha messo in vendita i Canaletto, un Tiziano, e persino un Leonardo esposti agli Uffizi? Anni fa queste domande non avrebbero avuto cittadinanza. E invece da qualche mese stanno rimbalzando negli uffici del ministero dei Beni culturali, dove sono preoccupati dalla possibilità di perdere — le parole sono dell’ufficio legislativo — «la gestione, il controllo e lo sfruttamento» delle immagini digitali di alcune delle opere più importanti del nostro Paese. Tanto sono allarmati che il direttore generale dei Musei, il professor Massimo Osanna, ha firmato lo scorso anno una circolare bloccando d’urgenza i contratti con questa società milanese. Ha ordinato oggi di non rinnovare quelli già siglati. E ha insediato una commissione che dovrà cercare di mettere ordine ed evitare che quello che è accaduto si ripeta.
Ma, intanto, cosa è successo? La storia la racconteranno stasera le “Iene” in un servizio firmato da Antonio Monteleone e Marco Occhipinti, che hanno condotto un viaggio nel mondo delle opere d’arte italiane e degli Nft, inot fungible token: opere d’arte digitali che vengono rese uniche grazie alla registrazione in un albo pubblico, lablockchain. Il mercato è enorme: recentemente
Everydays: the first 5000 Days , un’opera di Beeple, è stata venduta per 69.4 milioni. Oltre alle nuove opere, c’è un tema che riguarda anche il patrimonio esistente: ciascuna operad’arte può avere una sua copia digitale che può essere immessa sul mercato. A proporre un’operazione del genere ai musei italiani è stata la società Cinello, che ha un brevetto in materia. L’idea è semplice: si realizza una copia digitale perfetta dell’opera. La si riproduce su un monitor ad altissima definizione, la si incornicia come si fosse al museo e la si vende a ricchi collezionisti. Il ricavato va diviso 50 e 50 tra Cinello e il museo. I primi a credere all’operazione sono gli Uffizi, che firmano uncontratto — come ricostruiranno stasera le Iene — per 40 opere tra le più famose. Nell’accordo vengono stabiliti prezzi e un numero di copie massimo da mettere sul mercato. Alcune potranno essere acquistate, altre anche soltanto noleggiate. Il primo a essere venduto è proprio ilTondo Doni di Michelangelo, come annunciato trionfalmente un anno fa, per 240mila euro. Ma è proprio lì che cominciano i problemi. Qualcuno si chiede: ma ora di chi sono i diritti legati a quell’opera? Se mai il compratore dovesse decidere di esporla, può farlo senza il permesso degli Uffizi? In sostanza: non rischiamo di perdere il controllo del nostro patrimonio in un tempo in cui si va sempre più verso il metaverso?
Gli Uffizi spiegano al Ministero, contratto alla mano, che non è stata data alcuna esclusiva. E quindi, il problema non esiste. Ma a Roma non sono convinti. Le Iene fanno notare due cose: che la Cinello ha ricevuto tutto senza alcuna procedura pubblica. Un regalo. Anche perché Cinello non paga alcun canone, divide gli introiti alla metà (una percentuale molto alta per un’intermediazione). E che, sebbene nel contratto non si parli di esclusiva, nei fatti c’è una clausola che quasi la disegna. Il museo si impegna infatti a non far deprezzare il bene: le copie digitali costano tanto perché sono numerate, ma se ne venissero concesse altre, quelle sul mercato perderebbero di prezzo. Dunque, Cinello potrebbe impedirne la realizzazione.
Ma i problemi sono anche altri. Repubblica ha letto i verbali della commissione di esperti nominata dal ministero «in merito agli Nft e alla Criptoarte». Osanna parla di«contratti stipulati da alcuni musei» (oltre agli Uffizi, la Pilotta di Parma, la Galleria nazionale delle Marche, Capodimonte e l’Archeologico di Napoli) «immediatamente bloccati ed estremamente svantaggiosi per l’amministrazione, perché prevedevano l’alienazione della riproduzione del bene. La necessità imprescindibile è quella di far mantenere allo Stato la proprietà della riproduzione». La questione infatti non è avere paura degli Nft, che possono essere una risorsa. Ma non trasformarli in una giungla senza regole. E con pochi preferiti. Perché quella sì, fa paura.
2 - Dario Pappalardo, la Repubblica
Da un lato ci sono le aste milionarie. Dall’altro — per i musei — l’opportunità di generare nuovi profitti. Che gli Nft — non fungible token — stiano cambiando la storia dell’arte è ancora prematuro da stabilire. Di certo, se guardiamo i numeri, agitano momentaneamente le acque di un mercato che nel 2019 valeva 4,6 milioni di dollari, diventati 11,1 miliardi nel 2021. Il picco è la vendita da Christie’s dell’11 marzo 2021 che ha consacrato Michael Joseph Winkelmann, graphic designer del Wisconsin, detto Beeple, come il terzo artista vivente più caro del mondo. La sua opera digitale Everydays: The First 5000 Days fu acquistata per 69,4 milioni di dollari. Da allora è stato un succedersi di trovate a uso e consumo del web e dei portafogli dei vip del pianeta. Come non citare il Bored Ape Yacht Club di cui fanno parte Justin Bieber o Gwyneth Paltrow, felici acquirenti dei loro avatar in versione scimmia (Nft ovviamente) creati dalla società Yuga Labs? Oltre un centinaio di scimmie annoiate e immateriali sono state battute all’asta da Sotheby’s. Ma il fatto che le ultime opere di Beeple — due video con protagonista Madonna — questo mese non abbiano raggiunto il milione di dollari lascia sospettare che la bolla speculativa montata intorno alla cripto arte stia già sul punto di scoppiare.
Intanto, in parallelo con gli Nft “nativi”, anche i musei storici, a caccia di indotti necessari alla spese di tutela e conservazione, tentano la strada della smaterializzazione dei capolavori. In Italia lo hanno fatto, tra gli altri, gli Uffizi, la Pinacoteca di Brera, l’Ambrosiana di Milano, la Pilotta di Parma e Capodimonte a Napoli, sottoscrivendo un contratto con Cinello, l’azienda che ha creato la versione digitale in nove copie destinate alla vendita di icone della storia dell’arte come ilTondo Doni di Michelangelo (140 mila euro, il valore della variante non fisica) ma anche laCanestra di frutta di Caravaggio, laMadonna del cardellino di Raffaello o laScapiliata di Leonardo. Alcuni di questi sono stati esposti nella capitale britannica alla Unit London Gallery fino allo scorso 19 marzo, nella mostra Eternalising Art History: From Da Vinci to Modigliani . Mentre dal ministero della Cultura si attendono le linee guida destinate ai musei statali per disciplinare la materia, anche all’estero si sperimentano nuove forme di merchandising per incrementare gli introiti. Proprio a Londra il British Museum ha cavalcato letteralmente l’onda degli Nft, immettendo sul mercato laGrande onda di Hokusai in formato digitale unico a 5.905 euro. La stessa opera, rivenduta in Rete, ha già raggiunto quota 148 mila euro. Dietro l’affare del museo che vanta ancora nelle sue sale i marmi del Partenone c’è l’accordo quinquennale con laCollection, compagnia francese fondata soltanto nel 2021 da Jean-Sébastien Beaucamps. Il risultato è la creazione di una vera e propria espansione in chiave metaverso del tradizionale bookshop. Invece di magliette, tazze e cartoline, l’Nft store (si accede con Qr code) dispone di copie più o meno rare (e qui è il prezzo che fa la differenza) di Turner o Piranesi. A Vienna, ovviamente, è stato Klimt a smaterializzarsi: il Belvedere ha diviso Il bacio in 10 mila frammenti da 1.850 euro l’uno. Mentre Leopold Czihaczek al pianoforte di Egon Schiele non ha fatto in tempo a essere riscoperto — dopo un secolo — che è già stato trasformato in Nft. Il risultato della vendita servirà a finanziare il restauro del dipinto che si trova in concessione al Leopold Museum. Non tutta la smaterializzazione viene per speculare.
Intanto, in parallelo con gli Nft “nativi”, anche i musei storici, a caccia di indotti necessari alla spese di tutela e conservazione, tentano la strada della smaterializzazione dei capolavori. In Italia lo hanno fatto, tra gli altri, gli Uffizi, la Pinacoteca di Brera, l’Ambrosiana di Milano, la Pilotta di Parma e Capodimonte a Napoli, sottoscrivendo un contratto con Cinello, l’azienda che ha creato la versione digitale in nove copie destinate alla vendita di icone della storia dell’arte come ilTondo Doni di Michelangelo (140 mila euro, il valore della variante non fisica) ma anche laCanestra di frutta di Caravaggio, laMadonna del cardellino di Raffaello o laScapiliata di Leonardo. Alcuni di questi sono stati esposti nella capitale britannica alla Unit London Gallery fino allo scorso 19 marzo, nella mostra Eternalising Art History: From Da Vinci to Modigliani . Mentre dal ministero della Cultura si attendono le linee guida destinate ai musei statali per disciplinare la materia, anche all’estero si sperimentano nuove forme di merchandising per incrementare gli introiti. Proprio a Londra il British Museum ha cavalcato letteralmente l’onda degli Nft, immettendo sul mercato laGrande onda di Hokusai in formato digitale unico a 5.905 euro. La stessa opera, rivenduta in Rete, ha già raggiunto quota 148 mila euro. Dietro l’affare del museo che vanta ancora nelle sue sale i marmi del Partenone c’è l’accordo quinquennale con laCollection, compagnia francese fondata soltanto nel 2021 da Jean-Sébastien Beaucamps. Il risultato è la creazione di una vera e propria espansione in chiave metaverso del tradizionale bookshop. Invece di magliette, tazze e cartoline, l’Nft store (si accede con Qr code) dispone di copie più o meno rare (e qui è il prezzo che fa la differenza) di Turner o Piranesi. A Vienna, ovviamente, è stato Klimt a smaterializzarsi: il Belvedere ha diviso Il bacio in 10 mila frammenti da 1.850 euro l’uno. Mentre Leopold Czihaczek al pianoforte di Egon Schiele non ha fatto in tempo a essere riscoperto — dopo un secolo — che è già stato trasformato in Nft. Il risultato della vendita servirà a finanziare il restauro del dipinto che si trova in concessione al Leopold Museum. Non tutta la smaterializzazione viene per speculare.