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 2022  maggio 25 Mercoledì calendario

Quell’ultimo fastoso banchetto dello Scià

«Maestà, non crede d’aver esagerato?», chiese un cronista occidentale. E lui: «Non potevo mica offrire ai miei ospiti pane e ravanelli!». Cinquantuno anni dopo la grandiosa e costosissima auto-celebrazione di Mohammad Reza Pahlavi a Persepolis, liquidata allora dall’ayatollah Khomeini come «il festival di Satana», la vedova dell’ultimo Scià, Farah Diba, che vive tra Washington e Parigi, è tornata in un’intervista a Repubblica a battere sullo stesso tasto: «La monarchia iraniana è durata più di 2.500 anni, con alti e bassi. Il popolo, formato da un mosaico di etnie differenti, le è sempre rimasto fedele». 
Sicura? Fu proprio quella strabiliante cerimonia del 1971 costata oltre cento milioni di dollari in cui lei stessa aveva una corona con 1.469 diamanti, rubini, perle e smeraldi per un totale di 3.755 pietre preziose, in realtà, a marcare una tappa fondamentale del crollo, pochi anni dopo, del regime travolto da moti popolari non solo islamici. Basti ricordare le colossali ricostruzioni degli eserciti di Ciro e Serse con navi che solcavano un finto mare nel deserto e le macchine da guerra e le masse di comparse vestite con antichi costumi ricostruiti dalla maison Lanvin e lussuose tende create da Jansen e un immenso tendone per il banchetto con una tavola da settantotto metri per i grandi del mondo (69 capi di Stato o di governo dal principe Filippo marito di Elisabetta II all’imperatore etiope Hailé Selassié, dal presidente sovietico Nikolai Podgorny al vicepresidente americano Spiro Agnew, dal vicepresidente del congresso cinese Kuo Mo-jo ai re del Marocco, della Grecia, della Giordania...) più quarantasei tavole per gli ospiti più prestigiosi... Tutti serviti da chef, sommelier, camerieri fatti arrivare con voli speciali dal parigino Chez Maxim, dal Budrutt’s Palace di Saint Moritz e dall’Hotel de Paris di Montecarlo. Ouvertures: cinque tonnellate di caviale. Il tutto per celebrare i 2.500 anni d’una casata che si ricollegava a Ciro il Grande anche se tutti sapevano che il padre di Reza Pahlavi, Reza Shah Pahlavi, era un militare d’origine caucasica che aveva preso il potere con un golpe nel 1925. Il grande Paolo Monelli, sul Corriere, quel giorno della celebrazione, ne rise: «Forse ora invidia l’imperatore del Giappone che può vantarsi d’essere il 124° discendente diretto da un essere divino, Amaterasu Omìkami, dea del sole...».