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 2022  maggio 25 Mercoledì calendario

Biografia di Martina Colombari raccontata da lei stessa

«A volte, quando sono a Riccione da mia madre, succede che arrivi una chiamata da Milano. Comincio a parlare una lingua diversa, con parole come “skills”, “empowerment”, “mindfulness”. Alla fine della telefonata lei mi guarda e mi dice: “Marti, io non ho capito niente di quello che vi siete detti». In questo aneddoto c’è la parabola di Martina Colombari, 47 anni, nata in Romagna, figlia unica di mamma Delfina e papà Maurizio, titolare della storica pizzeria «Da Gianni». Ex reginetta di bellezza, la Miss Italia per definizione, fidanzata e moglie di campioni di cui però non ha mai usato come viatico il cognome («anche negli alberghi sono sempre la signora Colombari»), modella, oggi appassionata di meditazione, attrice teatrale e volontaria della Fondazione Rava. 
Martina Colombari, lei è cresciuta a pane e riflettori. A 16 anni era già la più bella d’Italia. 
«Siamo una famiglia precoce, mia mamma mi ha avuta a 17 anni, io a 16 avevo una corona da Miss in testa. Tutto ha avuto indubbiamente una accelerata pazzesca». 
Oggi a che punto è della sua «corsa»? 
«Un punto interessante. Ho capito che devo iniziare a lavorare su me stessa, senza tenere eccessivamente in considerazione il giudizio degli altri. Mi hanno aiutata molto dei workshop di meditazione fatti in Israele, Svizzera e Italia». 
Ha investito su sé stessa. 
«Se vogliamo vedere un cambiamento negli altri dobbiamo cambiare noi, uscire dalla comfort zone. Alcune persone hanno iniziato a non vedere più la Martina di prima, così ho fatto pulizia intorno. E anche a dire a me stessa: “Questo mi piace, questo non mi piace”». 
Più consapevolezza.
«Una parola molto abusata, come tante altre che sento in giro e che uso anche io». 
Riavvolgiamo il nastro. Martina bambina e ancora poco consapevole. O già consapevole della sua bellezza? 
«Per nulla, tuttora non lo sono, certo gli specchi li ho, ma non ho mai pensato che essere bella fosse un talento: è un punto di partenza. Sono cresciuta nel Paese dei balocchi: quando iniziavano le giornate di sole mia mamma mi veniva a prendere con i panini e andavamo in spiaggia a fare i compiti. Ma d’estate la vedevo scomparire: tornava a casa dal ristorante alle dieci di sera». 
Le davano qualche piccola mansione? 
«La cucina era vietata, per via degli schizzi d’olio e dell’acqua bollente. Mangiavo nella dispensa al piano di sotto guardando un muro, insieme alla signora che stirava le tovaglie». 
Chi si occupava di lei? 
«I nonni paterni. Mio nonno faceva una professione che avevano deciso di tenermi nascosta, il becchino. Vivevo circondata da raso viola, ma non capivo bene il perché». 
La Riviera Romagnola d’estate. Un ricordo. 
«La nonna mi portava al mare, magra magra ma con una pancia grande e tirata, come quella delle donne incinte, accentuata dal costume intero. Fumava e bestemmiava. Quando mio nonno riposava, di pomeriggio, io e lei andavamo in stazione a vedere i treni che passavano, con il gelato al limone con lo stecco di liquirizia». 
Poi è passato anche il suo treno. 
«Un treno dal quale la mia famiglia voleva farmi scendere. Mia madre faceva di tutto perché non mi montassi la testa. “Mamma, mi dicono che forse vinco Miss Italia”. E lei: “Sono stupidaggini”. Mio papà insisteva perché cedessi lo scettro alla seconda classificata: dovevo tornare a scuola, a Riccione». 
E invece a Riccione ci è tornata solo per i festeggiamenti della città. 
«Il sindaco organizzò una conferenza stampa nel ristorante dei miei genitori, mi ricordo che indossavo una giacca blu con una camicia a pois bianchi, forse avevo anche una fascia in testa». 
Da Riccione a Milano, un percorso obbligato. 
«E non semplice. Milano mi ha dato la vita, la mia famiglia, il lavoro, mio figlio, il volontariato. Ma all’inizio alle cene non mi rivolgeva la parola nessuno: tornavo a casa e piangevo. Con il lavoro che ho fatto su me stessa non accadrebbe più. Me ne fregherei». 
Perché non le parlavano? 
«Lavoravo nella moda, ma per loro ero poco modella, mi portavo dietro l’“onta” della Miss Italia. Al tempo stesso ero troppo modella per altri ruoli. In alcuni ambienti la mia bellezza creava problemi, sono stata discriminata». 
Un «body shaming» al contrario? 
«Prima della mia persona arrivano le gambe e la faccia e vengo “filtrata” in base a quello. Si parla sempre di inclusione, ma questo deve essere valido anche per la bellezza, non solo per la razza, la religione o la taglia». 
Però è andata lo stesso per la sua strada. 
«Giravo con Tuttocittà in mano, all’epoca non c’era Google Maps. Non ho preso mai la patente e ammetto che ogni tanto mi sento un po’ impedita, ma a Milano i mezzi pubblici funzionano». 
Niente autista? 
«La mia regola è vivere con normalità la specialità. Siamo viziati, fare cose comuni ci aiuta». 
Lei si è discostata fin da subito dal modello «wags», la moglie tipica del calciatore. 
«Non sono mai stata chiamata una volta signora Costacurta e ho mantenuto una mia identità, anche nell’abbigliamento. Mi ha salvato il fatto che sono sempre stata un po’ antica. Ogni tanto mi piacerebbe svecchiarmi, ma ho un classicume innato. Pochi mesi fa ci ho provato a comperarmi uno stivale super modaiolo, ma sembravo il cubista Panariello, quello del “si vede il marsupio?”... mio marito mi ha guardato e mi ha detto: “Ma dove vai...”». 
Suo marito Billy Costacurta: siete una delle coppie più longeve d’Italia. 
«Siamo insieme da 26 anni. Ci siamo conosciuti al telefono: stavo parlando con un amico comune, Piero, e Billy quando ha saputo che dall’altra parte c’ero io gli ha strappato di mano la cornetta. Da tempo voleva conoscermi». 
Lui all’epoca era sposato. 
«Si stava separando e i primi anni che frequentavo San Siro le altre mogli neppure mi salutavano: ero quella che arrivava dopo e per giunta famosa. Forse anche il mio essere un po’ asburgica, precisina, non creava empatia». 
La maternità. 
«Achille è arrivato quando meno ce lo aspettavamo, avrei voluto un altro figlio, ma non è arrivato. Ho pensato a un affido, questa estate vorrei portare un bambino ucraino a Riccione». 
Che tipo di mamma è?
«Ho cominciato benissimo: mettiti la canottiera, mangia le verdure, niente zucchero, ma poi mi sono persa. Adesso Achi  ha i “grillz”, la mascherina-gioiello per i denti. Ieri siamo dovuti tornare indietro in un bar: “Mamma mi sono scordato i denti nel piatto della brioche”». 
Achille non farà il calciatore. 
«No, ha quasi diciotto anni e frequenta l’Istituto Economico Finanziario: ho capito che i figli sono altro da noi, metà genetica, metà carattere. Non mangiano come noi, non vestono come noi e dobbiamo rispettarli nella loro identità». 
Ha eliminato la carne dalla sua dieta. 
«Sono la regina del Tupperware: mi preparo a casa del cibo sano che poi consumo sui treni, nei camerini. Anche a Billy preparo la schiscetta da portare a Sky. La gente si aspetta che io abbia una vita stravagante, non è così. La cosa più strana che ho fatto è stato portare i cadaveri nelle fosse comuni di Haiti». 
L’impegno con la Fondazione Rava? 
«Durante una cena di beneficenza, dopo che eravamo stati alla Scala, mi sono chiesta se aiutare le persone fosse stare seduti a teatro o in un bel ristorante. Così ho deciso di diventare volontaria: ma non giudico chi non lo fa, non tutti sono in grado di guardare in faccia il dolore». 
Ha un milione di follower su Instagram. 
«Un profilo che curo personalmente. Nel bene o nel male è autentico, è il minestrone della mia vita. Achi mi dice che dovrei “crescere” di più, poi gli spiego che potrei mettermi nuda in un post e catturare altri follower, ma forse non sarebbe felice di vedere sua madre così. Anche il mio Instagram è un po’ antico». 
Ha debuttato da poco a teatro con «Montagne Russe» assieme a Corrado Tedeschi. 
«È la prima volta in carriera in cui non mi sento giudicata, faccio il mio spettacolo con serenità, protetta dal personaggio. E poi sto lavorando a un podcast con mogli di sportivi che però non fanno solo le mogli di sportivi». 
Un tratto del suo carattere? 
«Accudente al punto da essere invadente. Ho preso la tenerezza da mia madre, mio padre ha i tatuaggi, va in moto. Infatti sono separati». 
Chi sono le sue amiche oggi? 
«Le mamme dell’asilo nido di Achille, 4 amiche con cui ci facciamo almeno tre weekend all’anno dormendo dentro la stessa stanza». 
Con Alberto Tomba, suo storico fidanzato, in che rapporti siete? 
«Ottimi, ci siamo visti anche pochi mesi fa a Milano Marittima assieme alla sua mamma. Ogni tanto mi manda la geolocalizzazione e devo capire da quello se si tratta di un luogo dove eravamo stati insieme o un posto dove vive una persona che conosciamo. Io però ho pochissima memoria e lui ci rimane male». 
Siete stati una coppia amata dalla gente. 
«Siamo stati molto innamorati, per lui lasciai il fidanzatino di Riccione, è stato il mio primo uomo. Ma in realtà il suo entourage pensava che una donna per il super campione potesse essere una distrazione e quando ho iniziato ad affermarmi sul lavoro sono nati i problemi. A volte gli propongo una cena tutti insieme con Billy e Achi: per ora mi ha sempre detto di no». 
Cosa vuole fare Martina da grande? 
«Magari il suo lavoro, delle interviste in tivù a personaggi che mi piacciono. Ho cominciato in lockdown con le dirette Instagram, da Stefano Boeri a Gianluca Vacchi. Vorrei raccontare le persone a modo mio».