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 2022  maggio 25 Mercoledì calendario

Le immagini mai viste sulla repressione degli uiguri

Xinjiang Police Files. L’ultimo colpo di un gruppo di anonimi hackers accende per la prima volta i riflettori su una realtà sospettata ma mai finora arrivata alla prova dei fatti: la detenzione di massa degli uiguri dello Xinjiang. Da tempo le organizzazioni umanitarie internazionali provano a superare il muro – fisico e virtuale – eretto dalle autorità cinesi sulla sorte della minoranza turcofona di religione musulmana. Senza successo: per Pechino nella remota provincia centroasiatica non è in corso alcuna repressione, non ci sono campi di concentramento e gli istituti dove gli uiguri vengono «ospitati» non sono altro che scuole vocazionali dove giovani e meno giovani, uomini e donne, imparano un mestiere e diventano «buoni cittadini», apprendendo leggi e costumi della Repubblica Popolare.
Ora la Bbc, insieme ad altri media riuniti in consorzio, proprio mentre l’Alto commissario Onu ai diritti umani Michelle Bachelet si trova in visita nella provincia dell’Ovest cinese, pubblica una selezione di storie, con nomi, cognomi, immagini mai viste prima. In un dettagliato reportage, l’emittente britannica spiega come avesse ricevuto il materiale a gennaio, impiegando poi settimane per analizzarlo e verificarne l’autenticità con l’aiuto di Adrian Zenz, ricercatore tedesco già autore di diversi studi sull’argomento. 
Ecco le storie di giovani e vecchi, dai 15 ai 70 anni e più, i loro volti (sono 2.884), le circostanze dell’arresto con motivazioni che, in Occidente, sembrano uno scherzo. Ma dalle conseguenze serissime: c’è chi si è beccato una condanna a 15 anni per avere cresciuto una barba islamica e aver trascorso del tempo, un decennio fa, a studiare il Corano. Ci sono madri e padri finiti dietro i reticolati perché un figlio o una figlia aveva sul telefonino immagini «proibite» o semplicemente perché il cellulare non veniva più usato (prova che il «reo» aveva qualcosa da nascondere).
Poi, le scuole vocazionali: certo, esistono anche quelle, e il Corriere ha avuto l’occasione di visitarle, come peraltro ha fatto ieri Michelle Bachelet. E a proposito di questa visita, tenuta in sospeso per lungo tempo dalle autorità cinesi, la coincidenza con le rivelazioni della Bbcha suscitato una dura risposta da parte di Pechino. «Stati Uniti, Gran Bretagna e altri Paesi hanno fatto di tutto per sabotare la missione – ha detto ieri Wang Wenbin, il portavoce del ministero degli Esteri —. Prima hanno fatto pressioni perché la visita fosse organizzata e poi hanno condotto questa cosiddetta inchiesta dando per scontate le colpe della Cina». 
Quali sono queste «colpe»? Sotto accusa è la reazione del governo centrale agli attentati terroristici portati a compimento da individui di etnia uigura, nelle città cinesi, nel corso di un decennio. Pechino, secondo diverse organizzazioni umanitarie, avrebbe messo fine ad azioni senz’altro sanguinose applicando una politica di repressione di massa, con arresti di interi nuclei familiari, torture, e condanne indiscriminate in campi di concentramento disseminati nello Xinjiang. 
Questi luoghi non sono mai stati visti da occhi stranieri. Almeno fino al colpo degli hackers che, penetrando nei computer della polizia cinese, hanno potuto sottrarre migliaia di files criptati che documentano la realtà. Dunque eccoli i campi, le guardie, i corridoi dove uiguri con casacche arancioni camminano verso un destino di cui, fin qui, il mondo non ha mai saputo nulla.