Corriere della Sera, 24 maggio 2022
I corpi choc di Cronenberg a Cannes
Una cosa bisogna riconoscere a David Cronenberg: aver spesso dato forma a paure e ossessioni che serpeggiavano nel nostro inconscio, dalla forza cannibalesca degli schermi (Videodrome) all’illusione di poter indirizzare la Storia (La zona morta), dall’intreccio tra rischio e piacere (Crash) al sogno di piegare la scienza (La mosca) alle tante forme che può prendere la violenza. E di averlo fatto prima e meglio di tanti altri registi. Per questo il nuovo Crimes of the Future (Crimini del futuro, che riprende il titolo del suo film del 1970 ma con una radicalità più dirompente) lascia sottopelle un’inquietudine che va ben al di là di quello che mostra e che racconta.
Siamo in un futuro non ben definito, dove dalla primissima immagine di una nave piegata su un fianco, si capisce che l’umanità ha perso la voglia di riparare i guasti che ha provocato: case sbrecciate, metalli corrosi e arrugginiti, un senso diffuso di povertà e miseria. Un’atmosfera che ha influito anche sull’uomo, modificando nel profondo la sua stessa fisicità. Lo vediamo dal corpo di Saul Tenser (Viggo Mortensen), specie di body artist che con l’aiuto della sua compagna Caprice (Léa Seydoux) si sottopone a sedute tra la performance e l’auto-chirurgia. Anche se non lo si dice mai esplicitamente, si capisce che sono stati l’inquinamento e il degrado ad aver innescato nei corpi umani la nascita di nuove e inedite escrescenze, quelle che appunto Saul si fa togliere in diretta da inquietanti macchine laser guidate dalla sua compagna.
Un’evoluzione che sembra fermarsi agli esperimenti di un numero limitato di persone, sotto gli occhi attenti degli addetti al Registro nazionale degli Organi come l’ambigua Timlin (Kristen Stewart) ma che fanno venire allo scoperto un più inquietante gruppo di persone guidate da Lang Dotrice (Scott Speedman) e decise a far compiere al corpo umano una più radicale e definitiva mutazione genetica. Mutazione che Tenser accetta di sperimentare su di sé per smascherare i loro progetti (c’è naturalmente anche una specie di polizia della morale che veglia nell’ombra) ma anche perché quelle pratiche sanno accendere desideri irrefrenabili.
Ci sono un paio di scene che potranno urtare spiriti particolarmente sensibili ma è piuttosto con l’equazione tra mutazioni corporali e pulsioni erotiche che Cronenberg sembra volerci interrogare. Molto meno gore di altre volte ma più sottilmente inquietante, il film trascina lo spettatore in un labirinto di parole da cui esce con improvvise esplosioni di sessualità mettendo lo spettatore di fronte a spinte autodistruttive a cui non si preoccupa di dare giustificazioni (come faceva il piacere del rischio in Crash, per esempio) ma che costringono a scavare dentro le più nascoste pulsioni del proprio desiderio. E che ci lascia col dubbio su un futuro che non sembra certo prossimo ma che non è detto sia così tanto lontano.
Anche il film coreano Decision to Leave (Decisione di partire) di Park Chon-wook vuole fare i conti con il desiderio, ma in modi molto meno estremi. Qui c’è un detective della polizia (Park Hae-Il) che vede nella vedova cinese (Tang Wei) la possibile responsabile dello strano suicidio del marito. Ma più lui cerca di scavare alla ricerca di conferme della propria intuizione, più resta catturato dal fascino di questa donna ambigua, che a volte sembra volersi prendere gioco dell’investigatore e altre volte sembra nascondersi dietro l’ingenuità della vittima incolpevole. E intanto, mescolando realtà fantasie e desideri, il protagonista rischia di non capire più dove si trovi davvero. Anche perché quando l’inchiesta sembra arrivata alla sua inevitabile conclusione, il film ribalta nuovamente le carte costringendo il poliziotto a fare ancora i conti con la donna che lo aveva ossessionato.
Non è certo la prima volta che Park gioca con le aspettative del pubblico ingarbugliandone le sensazioni. Qui però lo fa con un compiacimento forse eccessivo, come se la voglia di ingannare venisse prima di quella di raccontare. E alla fine la spirale di indizi e di sospetti che ci ha fatto conoscere le tante ambiguità dell’animo del protagonista rischia di rivelarsi un gioco fine a se stesso.