La Stampa, 24 maggio 2022
Mbappé resta a Parigi, 130 milioni di buoni motivi
Tutti in attesa di Kylian Mbappé ieri all’auditorium del Parc des Princes, lo stadio del Psg. Dopo mesi d’incertezze (Kyky va o no al Real Madrid?), il «giocatore più bravo del mondo», come più tardi lo ha descritto Nasser Al-Khelaifi, il presidente del club, proprietà del fondo sovrano degli emiri del Qatar, doveva spiegare le sue ragioni: perché è rimasto a Parigi, dove è arrivato nel 2017, invece di prendere il volo per Madrid, da sempre sbandierato come il suo sogno d’adolescente? Poco prima che la star si materializzasse, nel silenzio della sala e sotto gli occhi dei giornalisti di tutto il mondo, sono arrivati i genitori di Kylian e il clan al completo. Si sono sistemati nella prima fila, lasciata opportunamente vuota.
A Parigi lo pensano tutti: con la firma del nuovo contratto, il Psg si ritrova con Mbappé in squadra per altri tre anni, fino al 2025, ma anche con il suo clan che acquisisce un’influenza determinante sulle prossime scelte del club. Eccolo, finalmente, Kyky, in completo scuro e cravatta assortita, 23 anni e una maturità incredibile. «Non ho detto no al Real – spiega -, ho detto sì alla Francia e a un nuovo progetto del Psg. Ho ricevuto un appello della patria». Ammette perfino di aver parlato più volte al telefono con Emmanuel Macron, che gli ha consigliato di restare (e dire che lui è un tifoso sfegatato dell’Olympique Marsiglia). Ma Kylian è una sorta di patrimonio nazionale. Al-Khelaifi, accanto a lui, lo definisce la «pietra angolare della squadra». È anche (ma lui non lo dice) l’unica possibilità di vincere la Champions, un trofeo che questo club di star superpagate (e capricciose) non è mai riuscito a strappare (il Real, la destinazione mancata di Mbappé, sabato può alzare la quattordicesima).
I quattrini hanno contato nella trattativa? Mbappé nega: «Abbiamo parlato per mesi di sport – dice – e cinque minuti di soldi». Nega anche sulla possibilità che lui diventi troppo potente: «Ognuno deve restare al suo posto. Non avrò nessuna influenza su un ingaggio o la cessione di un giocatore». La conferenza si esaurisce tra sorrisi e pacche sulle spalle. Al-Khelaifi continua a ringraziare la famiglia di Kylian. Loro restano silenti (sono glaciali): il padre Wilfrid, originario del Camerun, ex calciatore dei tornei regionali e allenatore al circolo sportivo di Bondy, periferia popolare di Parigi, dove il campione è stato allevato fin da bambino come una macchina da guerra. Accanto la madre Fayza Lamari, di origini algerine, ex pallavolista nella prima divisione (lei e Wilfrid hanno annunciato da poco che si sono separati ma la famiglia-impresa resta salda intorno a Kyky). E poi il fratello Ethan, l’avvocatessa Delphine Verheyden e il resto del clan.
Fin qui un certo storytelling. Quale la verità? Sulle cifre, nessuna comunicazione ufficiale. Ma secondo i media spagnoli si sarebbe arrivati a uno stipendio lordo di 100 milioni più un bonus alla firma di 300 milioni. Quanto all’influenza dei Mbappé sul club, non hanno mai sopportato il direttore sportivo Leonardo, che, come per miracolo, sabato, il giorno dopo l’annuncio del nuovo contratto a Kylian, è stato licenziato. Potrebbe essere sostituito dal portoghese Luis Campos, che accolse il ragazzino Kyky a Monaco, alle prime armi: apprezzato dal clan Mbappé. A traballare è pure Mauricio Pochettino, l’allenatore del Psg. Tra i nomi che circolano a Parigi per la sua sostituzione, c’è quello di Antonio Conte: uomo dal pugno duro, che sarebbe ideale per rimettere un po’ d’ordine tra i ranghi di questi campioni del Paris Saint-Germain, dai salari XXL ma accusati di allenamenti «a piacimento» e di un bel po’ di menefreghismo (non Kyky, che è la solita macchina da risultati). Sempre, però, che Conte passi al vaglio del clan Mbappé.