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 2022  maggio 24 Martedì calendario

A Trino la centrale che smonta il reattore nucleare

TRINO VERCELLESE — Dove c’erano i tre trasformatori di potenza che immettevano in rete l’energia elettrica prodotta dall’impianto adesso c’è una spianata di cemento che sembra un tappeto di pomice bianca. Sole rovente, silenzio. Il polline galleggia nell’aria e ti chiedi cosa e come doveva essere questo posto 57 anni fa. Ottobre 1965: la prima accensione. Ventuno anni dopo: Chernobyl. La centrale nucleare di Trino Vercellese, quando entrò in servizio, era il reattore più potente al mondo. Nemmeno negli Usa c’era un bestione così, e pensare che da lì, da oltre Oceano, sono venuti, nel 1961, per costruire l’impianto: il primo nucleare in Italia.
Quattro anni di cantiere sulla riva del Po. Trino aveva quasi 10 mila abitanti, oggi nemmeno 7 mila. C’era una volta la gloriosa centrale “Enrico Fermi”. Grande opera, vanto ingegneristico ma poi anche tutto il resto: la faccia nascosta della luna, il referendum del 1987, l’arresto delle turbine. Stop, game over. Chi avrebbe mai immaginato che, nel 2022, saremmo tornati a parlare (e straparlare) di nucleare. E per via di una guerra in corso, per di più. «L’ultimo scaricamento l’ho fatto io, dicembre ’92», dice Davide Galli, responsabile disattivazione Sogin per Trino Vercellese. È uno degli esperti che ci accompagnano nel ventre della centrale.
Quattro sono le centrali italianeche Sogin (società pubblica) sta dismettendo. Le altre tre sono a Caorso, Latina e Garigliano (Caserta). Se aggiungi i cinque impianti di ricerca e fabbricazione del combustibile, ecco ricostruita la filiera del nucleare nel Paese. «Sono l’ultimo laureato che ha visto funzionare una centrale nucleare in Italia», sorride Galli. «Chi oggi vorrebbe un ritorno al nucleare, o persino di un riavvio di non so bene cosa, non sa di cosa parla». Galli è l’uomo che a breve smantellerà il super reattore.
Eccolo: visto dall’alto sembra la ghiera di un orologio. Poi scendi le scale, giri intorno all’involucro che lo protegge, posi lo sguardo sulla testa dentata del mostro che produceva i mitici 270 MWe, e allora hai idea di quanto lavoro c’è stato e ancora c’è da fare. Di qui al 2029, fine delle attività di decommissioning. Ad aprile a Trino è arrivata l’autorizzazione per lo smantellamento del recipiente a pressione del reattore (vessel). Un via libera che imprime, di fatto, un’accelerazione dei lavori che porteranno questo luogo a essere riconvertito in chissà cosa.
Sarà la fine di un percorso iniziato nel 1987, quando è terminata la produzione di 26 miliardi di kWh. Donatella Tarsia Morisco, all’epoca, era infasce. Lei è la vice responsabile del programma di disattivazione. «Vestizione! ». Pronti. Camice, calzari, cuffia, guanti, caschetto. E dosimetro. Per calcolare se e quale grado di radioattività ti rimane addosso. «Abbiamo misure di sicurezza molto rigorose — dice Tarsia Morisco — Anche se oggi il rischio è ridotto». A fine visita è previsto un doppio controllo: entri in una cabina dopo esserti svestito dei panni “sporchi” e aspetti il semaforo verde.
Un’infilata di fusti. Siamo nell’edificio- turbina. In ogni bidone — alto 1,5 metri — entrano 380 litri di rifiuti radioattivi: rifiuti da smantellamento, pezzi di tubazioni, parti di impianto. Le tute e le maschere degli addetti che a pieno regime erano207 e oggi sono 48. Non è che i 48 siano qui per fare solo la guardia al bidone (a proposito: i bidoni porta rifiuti sono centinaia, stoccati in due depositi). Ci sono passaggi delicatissimi. Nel 2015 il combustibile irraggiato della centrale (circa il 99% della radioattività residua) è stato inviato all’estero (Inghilterra e Francia) per il riprocessamento. Poi rientra e finisce nel Deposito nazionale.
Quattro enormi fori si aprono nella soletta al primo piano: erano il “letto” delle due turbine. Due buche ciascuna. Altre due buche per gli alternatori. Suggestivo è il passaggio in sala manovre. Pare quella di un sottomarino, e in effetti — ricorda Galli — «il reattore nucleare di Trino era gemello del reattore del Nautilus, il sottomarino nucleare americano che navigò sotto la calotta polare artica». Il terzo gemello si trova a Chooz, sotto le Ardenne francesi. Ora indovinate: delle centinaia di pulsanti (2mila) nel piano manovre, e in generale in tutto l’impianto, qual è quello chiave? Il pulsante rosso: SCSAR. Comando di arresto rapido del reattore. «In 22 anni ci sono stati una settantina di arresti rapidi», spiegano i periti che presidiano notte e giorno le cavità dove il reattore macinava a pieno ritmo con in pancia 44 tonnellate di uranio.
Pensi a Chernobyl. Ci pensi quando sotto i piedi si schiude la bucacon le piscine del combustibile esaurito. Ci pensi quando ti dicono che là sotto, dove riposano il reattore e l’involucro di 250 tonnellate, le temperature erano 60-70°. Gli addetti erano a contatto coi “mammelloni”, i generatori di vapore che asportavano il calore prodotto dalla fissione nucleare. E coi tubi da cui passava l’acqua che raffreddava il reattore.
«Lo apriamo entro l’anno — dice Davide Galli — Sbulloniamo la testa, la solleviamo con le gru ed è una robina da 90 tonnellate». Mentre la tireranno su, la cavità verrà allagata. Era pieno di amianto, qui sotto. Rimosso. Idem i componenti non contaminati. La stessa cosa la stanno facendo coi materiali “attivati” che giacciono nella piscina dei purificatori. A fine lavori, delle 214mila tonnellate di materiali prodotti dallo smantellamento della centrale di Trino, 198mila saranno recuperate e riciclate. Metalli, calcestruzzo. “Economia circolare”? Sì, anche se adesso c’è chi parla di “economia di guerra”. Poi c’è lui: il maledetto o benedetto (per i noti) nucleare. Guardi il polline bianco nell’aria, là fuori, a pochi passi dal Po. È ormai pomeriggio, il pensiero va alla pace e alla sua energia rinnovabile.